In una grandiosa, intensa, partecipata funzione il vescovo ha ordinato, sabato 31 maggio, 8 nuovi sacerdoti. Si tratta di una liturgia, dove, in qualche modo, tutto è previsto. Eppure nulla è previsto in emozioni, sentimenti, ricordi. La stessa liturgia è complessa, piena di simbolismi, ricchissima di testi. Non avremmo mai finito di parlarne. Abbiamo pensato di zoomare soltanto su un particolare: le mani. Non è un particolare di poco conto, perché l’ordinazione sacerdotale è soprattutto l’“imposizione della mani” che è il cuore del sacramento. Ma le mani sono anche la propaggine estrema del corpo, dove si condensano emozioni e sentimenti. Abbiamo pensato che era un modo non banale di ricordare quello straordinario evento di Chiesa.
Foto di Gian Vittorio Frau
È la storia di sempre: più l’uomo si avvicina a Dio e più si scopre piccolo. Di fronte al mistero della grazia sta la fragilità dell’uomo che la riceve.
Mani che si sfiorano, mani che si intrecciano, mani giunte che si offrono. Tante situazioni umane, tante storie di uomini che incrociano la storia di Dio con noi.
Il vescovo e il candidato; il padre che chiama e il figlio che risponde; la Chiesa madre che genera per generare, dona ai suoi figli perché i figli donino a tutti.
“Dopo avere pregato, imposero loro le mani” (Atti degli Apostoli 6, 6). L’antico gesto degli apostoli si ripete. Le mani del vescovo indicano la trasmissione di una forza. Le mani giunte, il capo chino, gli occhi chiusi del giovane prete comunicano una emozionata, una sorpresa accettazione.
Mani di un confratello, capo del candidato. Sullo sfondo la croce del paramento. Allusione certa alla Croce del Signore nel nome del quale l’imposizione avviene. Allusioni forse alle croci che aspettano i discepoli: “Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16, 24).
“Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri” (Prima lettera a Timoteo 4, 14)