Sinodo, un cammino di fede. Enzo Romeo: “La sfida di superare diffidenza e ostilità”

Solo il movimento, che si sviluppa col procedere missionario, assicura l’equilibrio pastorale delle nostre Chiese. “Syn-hodos, camminare insieme”. Fare sinodo non è stare in un cerchio chiuso, ma esporsi al cambiamento della vita, uscire, andare incontro accettando che le cose si modifichino per fare spazio all’altro, sperando alla fine di riscoprire Dio. 

Solo finché siamo in movimento possiamo restare in equilibrio. È una legge della fisica che vale anche per la sinodalità: fermarsi equivale a cadere, come per la bicicletta, della quale Enzo Romeo è un grande appassionato. 

Enzo Romeo, caporedattore vaticanista del Tg2 e saggista, confida di aver scritto il suo ultimo libro “Camminare insieme. Sinodalità e vita” (Editrice Ave 2024, pp. 243, 16,00 euro), non “da giornalista credente ma da credente che fa di mestiere il giornalista”.

Leggiamo e seguiamo con interesse le chiare parole di Enzo Romeo, nato a Siderno nel 1959, che collabora ai periodici “Credere” e “Jesus” e da inviato ha seguito le vicende internazionali degli ultimi decenni, oltre ai viaggi dei pontefici da Giovanni Paolo II a Papa Francesco. 

  • Perché camminare insieme non è un esercizio facile?

«Perché spesso ci è richiesto di condividere la strada con chi sentiamo estraneo o perfino nemico. E magari questo qualcuno molto vicino a noi, una persona della nostra cerchia o un familiare. A volte è difficile camminare insieme anche col me stesso che non accetto e con cui pure devo fare i conti tutti i giorni».

  • In quale futuro ci farà approdare questo cammino?

«Se camminassimo davvero insieme approderemmo in un mondo finalmente pacificato. Purtroppo, ci sono tanti ostacoli e campi minati lungo questa strada. Dunque, nessuno può dire dove approderemo. È una sfida: andare avanti considerando gli altri compagni di viaggio (e, se credenti, fratelli) e non avversari o competitors. In fondo le guerre che infiammano il pianeta, dall’Ucraina al Medio Oriente, nascono da questo atteggiamento di diffidenza verso il “vicino”».

  • Al termine di questo percorso avremo l’opportunità di riscoprire, “il grande desaparecidos del nostro tempo”?

«Così definisco Dio con un’espressione che forse è un po’ forte. In realtà Lui c’è sempre; siamo noi che proviamo a farlo scomparire. Ci mettiamo le bende davanti agli occhi, anzi sul nostro cuore, e facciamo finta che Dio non esista o che sia del tutto ininfluente nella nostra vita. È il grande problema del nostro tempo: l’irrilevanza di Dio. Un depauperamento della nostra umanità: senza la dimensione spirituale siamo tutti più poveri. “Non di solo pane…”».

  • Gesù è il camminatore per eccellenza?

«Basta leggere i Vangeli. È un uomo costretto a emigrare fin dalla sua nascita, cercando riparo in Egitto. E nei tre anni di ministero pubblico tutti gli incontri li fa per strada, dagli apostoli ai poveri, ai malati. Non si ferma mai: la Galilea, la Samaria, la Giudea, il deserto e le città, i monti e i mari… Infine l’ultimo viaggio: l’ascensione al cielo». 

  • Nel testo descrive altre forme di povertà, oltre a quella economica. Ce ne vuole parlare?

«Come scrivo nel libro, il materialismo nel quale siamo tutti immersi può distorcere anche il concetto di povertà. È povero chi non ha un tozzo di pane o una ciotola di riso da mangiare, o il migrante che deve lasciare tutto per cercare fortuna altrove. Ma ci sono anche povertà provocate dalla malattia, da fragilità psicologiche, da crisi morali… Ci sono tante categorie di “diversamente poveri” indefinibili coi parametri tradizionali. Eppure, quanta infelicità si nasconde in questi recessi umani!».

  • Questo libro è un po’ autobiografico?

«Il sottotitolo recita: “sinodalità e vita”. Se questa parola – sinodalità –, oggi perfino abusata nella Chiesa, non la caliamo nella vita reale delle persone, allora resterà un concetto astratto, buono solo per le relazioni di studio o i dibattiti delle élite ecclesiali. Io provo a parlarne partendo dalle mie esperienze concrete e quindi qua e là racconto dei fatti, che sono parte della mia biografia, quella di un uomo qualunque e di un povero cristiano».

  • Il G7 a presidenza italiana del 13-15 giugno, vedrà l’intervento, durante la sessione dedicata all’AI, di Papa Francesco, primo pontefice al G7. In un mondo sempre più tecnologico, c’è forse un rischio di “dittatura robotica”?

«L’intelligenza artificiale potrebbe cambiare in breve tempo il nostro modo di rapportarci agli altri, al nostro lavoro, al mondo. Con l’aiuto di mio figlio Giacomo, dedico un capitolo del libro all’argomento. Sì, c’è il rischio di una dittatura della tecnica, dove la persona venga soppiantata dal robot. Perciò è importante imparare a convivere con computer intelligenti, capaci di pensare in proprio e che forse dovremo abituarci a chiamare “fratello” e “sorella”. Sembra un film di fantascienza, ma è già l’oggi».