Che cosa vuol dire essere “maturi”? L’esame di Stato, una sfida che aiuta a misurarsi

Che cosa vuol dire essere “maturi”? È una domanda che si ripropone ogni anno all’avvio degli esami di Stato. Secondo Albert Einstein “la maturità inizia a manifestarsi quando sentiamo che è più grande la nostra preoccupazione per gli altri che non per noi stessi”.

L’esame è una sfida che aiuta a misurarsi, come se la vita fosse un vestito che deve calzare perfettamente, a partire da responsabilità e consapevolezze acquisite negli anni della formazione. Un momento in cui i genitori vedono i figli “prendere il volo”, mettendo alla prova la capacità di gestione di sé e dello studio.

Sarebbe bello se nel percorso della scuola secondaria di secondo grado gli studenti non fossero chiamati soltanto a immagazzinare nozioni (e valutati per questo), ma si cimentassero anche in esercizi per allenare i muscoli della sensibilità, delle relazioni, della cura di sé e degli altri, per scoprire un orizzonte più ampio, una visione del mondo, la possibilità di impegnarsi per il bene comune.

È importante, certo, fornire agli studenti strumenti per leggere il passato, il presente, il mondo che li circonda, ma anche aiutarli a scoprire chi sono e quale segno vogliono lasciare nel mondo. Fare delle scelte di campo, individuare la loro “vocazione”.

La Maturità quest’anno coinvolge 526.317 studenti. Il Ministero precisa che si tratta di 512.530 candidati interni e 13.787 esterni, mentre le commissioni esaminatrici – composte ciascuna da un Presidente esterno, tre membri esterni e tre interni all’istituzione scolastica – sono 14.072, per un totale di 28.038 classi. La ripartizione degli esaminandi secondo gli indirizzi di studio è la seguente: per i Licei affronteranno l’esame 266.057 ragazze e ragazzi; per gli Istituti tecnici saranno invece 172.504; decisamente meno i candidati per gli Istituti professionali: 87.756. A Bergamo gli studenti sono 7.986 e 266 le commissioni esaminatrici.

Il compito degli insegnanti è ascoltarli e valutarli. Sarebbe bello se lo facessero guardandoli negli occhi, riservando loro un po’ di quel silenzio accogliente e inclusivo a cui si accenna nella traccia fornita del tema argomentativo, soppesando il loro percorso, tenendo conto dei passi e dei progressi, assumendo con autorevolezza il ruolo di “maestri di vita”. I docenti che lasciano una traccia, e che i ragazzi ricordano a distanza di anni, sono quelli capaci di impegnarsi per i loro studenti mettendoci non solo tempo e lavoro ma anche cuore. È questo a fare la differenza.

Sono giornate di timori, batticuori, notti insonni: c’è chi lo definisce “rito di passaggio”, chi invita a sdrammatizzare, per non enfatizzare l’accento sulle performance. Al di là del voto, comunque vada, ciò che resterà vivo di quest’esperienza – negli studenti e nelle loro famiglie – è la consapevolezza di aver dato il meglio di sé, di aver misurato talenti e limiti in una sfida che, se vissuta bene, aiuta a prendere slancio e pensare al futuro. Con l’augurio che questa società in cui i giovani sono sempre meno sia capace di fare spazio, e di non tagliare le ali e le speranze.