Linda, Virginia e Letizia. Volti di una scuola che deve cambiare

Linda, Virginia e Letizia. Volti di una scuola che deve cambiare linda, Virginia e Letizia sono nomi diventati famigliari un po’a tutti in questi giorni, specialmente a chi ha passione per quel mondo, meraviglioso e complicato insieme, che si chiama “scuola”.

Sono i nomi delle tre ragazze di un importante liceo classico di Venezia che hanno deciso di non sottoporsi alla prova orale dell’esame di maturità, leggendo soltanto il loro comunicato di protesta, a seguito dei voti assegnati alla loro prova di greco, decisamente basso, se si tiene presente che le studentesse hanno sempre avuto medie alte nella disciplina e, stando agli “addetti ai lavori”, la prova giunta dal ministero non presentava difficoltà particolari.

Le prese di posizione alla notizia del mondo social sono state, come sempre, caratterizzate da reazioni opposte, molte espresse in modo superficiale e perfino volgare; non solo: sono state molte le reazioni impulsive, giudicanti e acritiche.

Ora, non essendo direttamente coinvolto nella vicenda, azzardare ipotesi è rischioso, ma credo si possa suggerire almeno qualche elemento per una riflessione che sia seria, come questo fatto di cronaca merita. Innanzitutto, ammiro il coraggio di queste tre ragazze: potevano ambire a voti alti, probabilmente li avrebbero avuti con una prova orale di livello, ma hanno deciso di accettare un voto basso, perdendo anche borse di studio importanti, pur di gridare l’ingiustizia subita.

Io non sarei stato capace di farlo, non ne avrei avuto il coraggio. Di fronte alla possibilità di raggiungere i 90/100 (che fu proprio, peraltro, il mio voto finale al liceo scientifico) me ne sarei stato zitto anche di fronte all’ingiustizia di una valutazione, sostenendo che, tanto, non sarebbe cambiato nulla ed era inutile rovinarsi per ciò che non poteva cambiare.

È giusto che lo affermi, in tutta sincerità. Ho imparato da prete a parlar chiaro, a dire ciò che va detto con educazione ma anche con schiettezza, a dire ciò che non va e ciò che non è giusto ai superiori, a credere che nulla cambia se non si ha il coraggio della verità.

Ho perso qualcosa per questo? Probabilmente sì, ma quanto a serenità e coscienza, ho solo guadagnato. Brave dunque a queste ragazze. Forse, mi permetto di dire, sarebbe stato meglio sostenere la prova orale e poi leggere il comunicato di contestazione del risultato dello scritto alla fine dell’esame, passando anche da un esposto al provveditorato; tuttavia, sappiamo bene a cosa sarebbe servito: ad aggiungere un foglio al malloppo di segnalazioni che vengono fatte e restano a prender polvere sui tavoli degli uffici, finchè qualcuno non cestina il tutto. Quindi, in ultima analisi, è stata la scelta più efficace quella di Linda, Virginia e Letizia.

Ora però, occorre che si vada a fondo e, qui, chi ha il potere di intervenire non può chiamarsi fuori: la verità va cercata e trovata. Cosa è successo? In primis, occorre che le prove di greco vengano corrette nuovamente, da più docenti e alla presenza di ispettori ministeriali: la correzione è stata fatta “a regola d’arte”? Bene, se ne faranno una ragione le tre giovani: hanno avuto il voto che dovevano avere a seguito della loro prestazione scolastica.

Se invece, come pare, la correzione operata dal commissario esterno non è stata fatta come si deve, il docente deve pagare per ciò che ha fatto: se non sai correggere le prove di maturità, va verificato se sai fare il tuo mestiere e, se così non è, non metti più piede in un’aula. Sì, perché se così è stato non si può pensare a un errore (non si tratta di un nove e mezzo al posto di dieci per un errore che non c’era…), ma a una precisa volontà di danneggiare qualcuno.

La stampa ha parlato anche di dissidi tra commissario esterno e la docente titolare della cattedra di greco della classe. Spero siano soltanto voci, perché se c’è del vero e i ragazzi hanno pagato rapporti umani incrinati tra due docenti, un intervento è necessario. È questione di giustizia e sulla giustizia non si possono ammettere superficialità. Credo che questa vicenda riapra un discorso espresso tante volte, sul quale cala sempre il silenzio, come credo avverrà anche nel caso di queste tre giovani veneziane, tra qualche giorno: quello della costante valutazione della scuola e di chi è chiamato a prestare il proprio servizio lavorativo in questa istituzione decisiva per la nostra società. Pensare che le prove “Invalsi” possano svolgere questo compito è illusorio.

Serve ben altro. Cosa serve? Serve che ci sia chi ha il compito di andare nelle scuole, qualcuno che verifichi il lavoro dei dirigenti, passi a controllare i documenti, le prove d’esame degli anni precedenti e i voti attribuiti. Serve ci sia qualcuno che verifichi la preparazione dei docenti, il loro aggiornamento sulle discipline insegnate, le modalità attuate di lezione e di verifica, la presenza di competenze pedagogiche necessarie alla docenza.

Altri soldi da spendere per lo Stato? Beh, se ne gettano al vento tanti, poco male sarebbe iniziare a spenderli bene! Concludo. Mi aspetto la frecciatina di qualche benpensante: “Guarda alla Chiesa e ai suoi problemi…!”. Rispondo: guardo eccome! Infatti, sostengo che le stesse verifiche necessarie nella scuola dovrebbero esserci anche nelle parrocchie. Ho già espresso a chi di dovere che è un problema il fatto che l’eventuale rimozione di parroci dalle parrocchie sia legato soltanto a scandali penalmente perseguibili o a bilanci economici preoccupanti. Non basta che il parroco sappia amministrare, occorre sia pastore.

Quindi, un’occhiata a come cura le relazioni, in primis con i confratelli, poi con la gente (corresponsabilità laicale… non mera esecuzione degli ordini del padrone), aggiornamento e formazione permanente, cura della liturgia, funzionamento degli organismi pastorali (consiglio pastorale, equipe educativa, consiglio affari economici), sarebbe opportuna. Illusione? Forse sì, ma tentar non solo non nuoce, può addirittura fare del bene!