“Quel 13 dicembre”: monsignor Gaetano Bonicelli racconta i suoi 100 anni

Cent’anni di età e non sentirli, tanto che spesso viene chiamato sia nelle parrocchie per celebrazioni e iniziative, sia dai gruppi alpini, che è il corpo militare che porta nel cuore.

È monsignor Gaetano Bonicelli, arcivescovo emerito di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, che il prossimo 13 dicembre taglia il traguardo del secolo di vita, essendo nato nell’anno 1924 a Vilminore di Scalve.  Risiede nella casa del clero accanto al santuario di Stezzano.

Bonicelli

Nei giorni scorsi, nella sede Ana di Bergamo, ha partecipato alla presentazione del libro «Quel 13 dicembre. Gaetano Bonicelli si racconta», pubblicazione curata da Pietro Bonicelli, direttore di «Araberara», in cui ripercorre tutta la sua esistenza.

«In tanti mi avevano invitato a scrivere sulla mia lunga vita — racconta l’arcivescovo — e alla fine ho accettato». Sulla sua vita da pensionato sempre in movimento  tiene a precisare che «un prete non va mai in pensione. E accetto molto volentieri i vari inviti che mi rivolgono i parroci, i gruppi e le associazioni».

Ordinato sacerdote il 22 maggio 1948 dal vescovo Adriano Bernareggi, per tre anni è coadiutore parrocchiale di Almenno San Salvatore. Nel 1951 il vescovo lo manda all’Università Cattolica di Milano per frequentare Scienze sociali.

«Dopo alcuni anni — ricorda monsignor Bonicelli — l’allora rettore padre Agostino Gemelli decise di mandarmi a Parigi, alla Sorbona, per completare gli studi. Io ero perplesso, ma bastò la sua occhiataccia per obbedire».

Si laurea nel 1955 con la testi «Rivoluzione e Restaurazione a Bergamo», ancora oggi indispensabile negli studi storici locali. «L’allora cardinale Roncalli, patriarca di Venezia, la lesse — racconta l’arcivescovo —. Poi mi chiamò per farmi i complimenti, dicendo che tutti i preti bergamaschi avrebbero dovuto leggerla».

Dal 1955 al 1960 è direttore dell’Ufficio diocesano di sociologia religiosa. Su incarico del vescovo Giuseppe Piazzi stende uno studio sulla catechesi in diocesi. Dal 1956 al 1964 è viceassistente delle Acli nazionali.

Dal 1965 al 1972 è direttore dell’Ufficio emigrazione italiana della Cei. Nel 1972 diviene segretario aggiunto della  Cei e nel 1973 anche direttore dell’Ufficio informazioni Cei e dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali. Il 10 luglio 1975 viene nominato vescovo ausiliare di Albano. Riceve la consacrazione episcopale il 26 agosto 1975 nel Duomo di Bergamo dal cardinale Antonio Poma, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei.

Come motto sceglie «Omnibus omnia factus» (Mi sono fatto tutto a tutti»), dalla Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi. Diviene vescovo di Albano l’11 giugno 1977. «È la seconda diocesi del Lazio dopo Roma per vastità — prosegue monsignor Bonicelli —. Attualmente supera i 500.000 abitanti. Mi sono trovato benissimo. Allora era una diocesi interessata a un tumultuoso sviluppo urbanistico con un’economia basata su agricoltura avanzata e industria. La residenza pontificia estiva di Castelgandolfo appartiene a questa diocesi».

Il 28 ottobre 1981 giunge una nomina inaspettata: ordinario militare per l’Italia. «Una sera a Castelgandolfo, Giovanni Paolo II mi disse improvvisamente: “Mi hanno detto che faresti molto bene come ordinario militare, perché ci sai fare nella pastorale giovanile”. Ridendo, gli risposi: “Santità, in vita mia non ho fatto un solo giorno di militare”.

E il Papa: “La cosa non mi interessa, ma mi interessa molto la cura pastorale dei giovani militari”. Così accettai. L’ordinariato militare è una diocesi che abbraccia l’intera Italia e le sue parrocchie sono le caserme, le scuole militari e i distaccamenti delle missioni di pace nel mondo. Il suo clero sono i cappellani militari, mentre i suoi fedeli sono i soldati. L’ordinario militare fa parte della Cei».

«In otto anni, con una sola eccezione — ricorda monsignor Bonicelli —, ho trascorso Natale e Pasqua fra le missioni militari italiane nei vari Paesi del mondo. Sono sempre stato accolto con calore e affetto da ufficiali, sottufficiali e soldati. Ascoltavo senza formalismi i giovani militari, che parlavano delle loro situazioni personali, attese e speranze, della lontananza da casa».

Un posto particolare nel cuore è riservato agli Alpini. «Ho visitato numerose volte le caserme alpine — prosegue l’arcivescovo —. Gli alpini sono una realtà vivacissima fatta di tradizioni, altissimo senso del lavoro e del dovere e soprattutto un gigantesco impegno nella solidarietà, a disposizione dell’intera società, in situazioni drammatiche geograficamente vicine e lontane, dai terremoti alle calamità naturali, e nei bisogni del territorio, come l’aiuto nella costruzione di case di riposo e ospedali.

Dopo il congedo, a 65 anni, il 14 novembre 1989 viene nominato arcivescovo di Siena-Montalcino-Colle Val d’Elsa. «Anche qui mi sono trovato benissimo. A Siena il vescovo è un punto di riferimento religioso, sociale e culturale. E a Siena ho fatto il vescovo sullo stile della Chiesa bergamasca: frequenti visite alle parrocchie, incontri, contatti con persone e autorità, cura della gioventù». Il 23 maggio 2001 si ritira per raggiunti limiti di età.

Monsignor Bonicelli parla anche del presente e del futuro prossimo della Chiesa. «Papa Francesco ha detto che i pastori devono sentire la puzza delle pecore. È una frase di enorme portata. Ogni pastore deve stare fra le pecore con amore, bontà e intelligenza, per servire la gente e sentirne bisogni, attese, speranze. Uno dei problemi pastorali più urgenti la cura delle giovani generazioni.

Il primo passo è smettere di lamentarsi dei giovani, ma amarli come sono. Il secondo passo è essere sempre pronti a studiare iniziative per rispondere alle loro attese, come lavoro, cultura, svago. Pensiamo alla grande tradizione bergamasca in questo ambito, già avviata a fine Settecento». E poi prosegue.

«Alla Chiesa, ma anche all’Italia, serve una buona iniezione di ottimismo. Dio ci ha dato cuore e intelligenza per impegnarci, non per lamentarci, o cullarci in una inutile e infruttuosa nostalgia di un passato idealizzato che non ritorna. I pessimisti lamentosi non combinano nulla e sono loro, e non gli ottimisti, a perdere l’autobus della storia e della gente. Bisogna essere aperti a nuove vie pastorali». Non crede alla necessità di un nuovo Concilio, «perché c’è sinodalità, c’è più condivisione».

Negli anni scorsi l’arcivescovo Bonicelli è stato attivamente impegnato in opere di solidarietà. Ha contribuito in prima persona a far costruire sia una chiesetta in Cisgiordania nei territori occupati da Israele per i cattolici palestinesi, sia la chiesa di San Giuseppe a Cochabamba in Bolivia.