Alla conquista della luna 55 anni dopo l’Apollo 11: “Fly Me to the Moon” dietro le quinte della missione

A cinquantacinque anni dal primo allunaggio, dalla missione Apollo 11 (20 luglio 1969), nelle sale italiane arriva un film a stelle e strisce che ne celebra l’evento, aprendo anche una riflessione sui “rumors” di falso storico in chiave ovviamente brillante. Parliamo di “Fly Me to the Moon. Le due facce della Luna” diretto da Greg Berlanti con Scarlett Johansson, Channing Tatum e Woody Harrelson, una produzione targata Columbia-Sony e Apple Studios.

Un racconto che fonde l’anima del marketing e del mercato tipico del mondo statunitense con il patriottismo e l’idealismo per un bene superiore, il guadagno della scienza per la comunità. Riflessioni di senso e atmosfere frizzanti, in una commedia che recupera lo spirito della Hollywood classica.

Lo sbarco sulla Luna è stato al centro delle fantasie, o meglio fantasmagorie, del cinema. Basta richiamare “Le Voyage dans la Lune” del 1902 realizzato dal genio di Georges Méliès.

A partire poi dalla missione spaziale Apollo 11, da quel 20 luglio 1969, in cui gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin toccarono il suolo lunare, la linea di racconto tra grande e piccolo schermo è esplosa. Tra i titoli più interessanti legati alla conquista dello Spazio – ribadendo la centralità di “2001: Odissea nello spazio” (1968) di Stanley Kubrick – ricordiamo di certo “Apollo 13” (1995) di Ron Howard, “Gravity” (2013) di Alfonso Cuarón, “Interstellar” (2014) di Christopher Nolan e “First Man. Il primo uomo” (2018) di Damien Chazelle.

Dall’11 luglio arriva nei cinema con Eagle Pictures “Fly Me to the Moon. Le due facce della Luna” diretto da Greg Berlanti con Scarlett Johansson, Channing Tatum e Woody Harrelson, una commedia brillante che rilegge le ascisse e ordinate della storia dell’allunaggio, in un’America accesa dalla competizione febbricitante con l’Unione sovietica, nella polarizzazione della Guerra fredda.

La storia. Stati Uniti, fine anni ’60, la Nasa sta mettendo a punto la missione spaziale Apollo 11, che porterà gli astronauti Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins a mettere piede sul suolo lunare. Per alimentare la raccolta fondi e rendere il racconto della missione più partecipato, accattivante, viene assoldata l’esperta di marketing Kelly Jones (Johansson).

Oltre a condurre un’operazione di maquillage del team spaziale “a stelle e strisce”, Jones deve segretamente allestire un set cinematografico dove si possa simulare lo sbarco sulla Luna. Il governo americano vuole, infatti, fugare ogni margine di errore e avere comunque a disposizione un documento audiovisivo da mandare in mondovisione. Nelle settimane trascorse alla Nasa la donna fa la conoscenza del direttore del programma di lancio, Cole Davis (Tatum), che manda in frantumi ogni certezza e proposito…

Scritto da Rose Gilroy, “Fly Me to the Moon” è una commedia sentimentale che si gioca nel perimetro della Storia. Mette a tema in maniera acuta quel sottobosco di teorie, ipotesi e dubbi a lungo circolati sull’allunaggio statunitense. 

Il film a ben vedere polverizza ogni ambiguità storica, sottolineando invece le capacità persuasive del linguaggio della pubblicità, scaltro nel plasmare ogni aspetto della vita umana pur di vendere un’idea e un prodotto.

L’opera di Berlanti funziona per la componente formale, nel ricreare quello standard estetico in linea con il cinema americano classico, fatto di scenografie curate, vestiti e acconciature puntuali; inoltre, affrontando il potere di persuasione dei media e della pubblicità, l’opera coniuga complessità e leggerezza, confezionando un racconto agile e coinvolgente, dove trovano posto l’idealismo statunitense, l’etica personale e il bisogno di tessere relazioni.

Vivere in comunità e non come isole. E proprio su quest’ultima linea tematica si attivano nuance romance che la coppia Johansson-Tatum governa con efficacia. A impreziosire il tutto le musiche di Daniel Pemberton.

Nel complesso, “Fly Me to the Moon” si posiziona sul tracciato del racconto rassicurante che esalta individuo e collettività-Paese, più simile all’impianto della commedia sociale “Il diritto di contare” (2016) di Theodore Melfi rispetto allo sguardo storico-introspettivo di “First Man. Il primo uomo” (2018) di Chazelle. Consigliabile, brillante, per dibattiti.