Il dolore per un figlio malato. Suor Chiara: “L’amore apre alla speranza e Dio non ci lascia mai soli”

Buongiorno suor Chiara, siamo sempre preoccupati per i nostri figli, ma ancor di più quando li vediamo colpiti da una malattia in giovane età. Sembra una gravissima ingiustizia, mi chiedo come Dio possa permetterla, e come fare per trasmettere forza e non aggravare la sofferenza con la mia ansia. Le chiedo gentilmente una parola, grazie Giovanna.

Cara Giovanna, è sempre molto difficile stare vicini a chi soffre, a chi porta il peso di una malattia, e lo è ancor più quando si tratta di un giovane. La sofferenza e la malattia sono il grande mistero che attraversa la nostra vita al quale non possiamo dare risposte superficiali.

Lei parla di un Dio ingiusto perché permette a un giovane la sofferenza e, magari, prova nei suoi confronti delusione. Invece Dio tace, non dà quelle risposte chiare che ci si attende. Il dolore, la sofferenza, la morte, prima che essere un dramma della persona umana, sono il dramma di Dio.

Sotto certi aspetti esso rimanda al problema della libertà, per altri quello del limite e del nulla.  Dio deve convivere con i limiti di un mondo da lui creato e che ha lasciato libero: la libertà è il grande dono di Dio all’uomo, ma è anche la sua grande responsabilità. Egli non può e non deve intervenire. Ecco dunque perché il dramma della sofferenza dell’uomo è anche quello della sofferenza di Dio.

Dio non vuole il male, la malattia e la morte, perché è il Dio della vita: da una parte c’è il limite della nostra natura umana, la fragilità della creazione; dall’altra il peccato, che porta nel mondo ingiustizia, violenza, soprusi. Il Signore non ci ha lasciati soli in balìa del male, ma ha mandato il suo Figlio per salvarci e dare un senso anche al dolore.

Al di là di ogni spiegazione logica che possiamo offrire, il cristianesimo è l’unica vera risposta al dramma della sofferenza. Noi crediamo, infatti, che Dio stesso, per mezzo del suo Figlio, condividendo la nostra natura umana, ha sperimentato il dolore, l’ingiustizia, la persecuzione, la morte.

Come leggiamo nel Vangelo di Giovanni, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». In questo modo Gesù Cristo, il Figlio di Dio, si è unito alla passione di ogni essere umano, a tutti coloro che soffrono, sono malati, torturati. Ogni volta che vediamo un fratello o una sorella che soffre possiamo riconoscere in esso la presenza di Cristo e impegnarci per alleviare il suo dolore e curare le sue piaghe, come il buon samaritano della parabola.

Stare con il proprio figlio o la propria figlia malata è esercitare quella cura amorevole che cerca di lenire il dolore, alleviare la sofferenza, offrire speranza, perché l’amore apre alla speranza ed è l’atteggiamento che rimane per l’eternità.

La sua, come quella di tutte le persone che vivono con un ammalato, è una grande missione perché mette in gioco tutta la sua umanità e la sua fede e diventa per lei una sfida: infatti mentre cerca di “curare” sperimenta tutta la sua impotenza e fragilità; ci si affida alla competenza dei medici, al progresso scientifico, ma si rimane soli di fronte al proprio dolore, all’incertezza del futuro e si sperimenta l’illusione della propria immortalità.

Di fronte alla malattia si comprende, in maniera inequivocabile, che non siamo onnipotenti e dobbiamo chinare il capo all’inedito, al non conosciuto, a una realtà che ci chiede solo di imparare ad affidarci e affidare chi amiamo al Signore. Dio non è estraneo al dolore, ma è presente e lo porta con noi, perché è il Dio con noi che non ci lascia mai soli.

A quanti soffrono, Dio non offre il silenzio di un intervento mancato, di un miracolo trattenuto o di una preghiera inascoltata, ma l’amore infinito di Cristo, la vicinanza incomprensibile della croce, il mistero carico di speranza della resurrezione. Egli continua ad essere il “Dio con noi” che “ascolta il grido del povero, che “non ci lascerà, non ci abbandonerà”.

Vivere di questa fede è la strada per rimanere umilmente accanto alla sofferenza di chi si ama, donando l’amore proprio e quello di Dio che travalica il tempo ed è ciò che rimane per sempre come vita eterna perché “forte come la morte è l’amore”.