Presente e futuro del giornalismo d’inchiesta. L’esperienza di Luigi Mastrodonato e il podcast “Tredici”

In una rassegna a tema linguaggio non poteva mancare una serata sul giornalismo d’inchiesta e sulle sue attuali condizioni. Ecco perché la quinta serata del Festival delle Rinascite ha visto come ospite Luigi Mastrodonato, giornalista d’inchiesta freelance che si occupa di diritti umani, questioni sociali e migrazioni. Ad intervistarlo è stata la Segretaria dell’associazione Migliori di Così, Asia Brugnetti. 

Dopo una breve presentazione di sé stesso e del suo podcast più famoso, Tredici, incentrato sulle morti avvenute nelle carceri italiane a marzo 2020, durante la pandemia di covid, Mastrodonato ha subito parlato della difficoltà attuale nel fare giornalismo d’inchiesta.

L’Italia ha perso posizioni nel 2024, è passata dal quarantaduesimo al quarantaseiesimo posto nella classifica dei paesi con più libertà di stampa. Il momento è quindi complesso, specie per chi scrive di diritti e di questioni sociali. 

Parlando dell’impatto dei social sul giornalismo, Mastrodonato ha sostenuto la positività di non avere sempre un filtro giornalistico sul genere di notizie che ci arrivano da ogni parte del mondo, ma ha anche sottolineato quanto poco venga considerata «giornalismo» una fonte che comunica esclusivamente sui social, spesso delegittimata al semplice ruolo di influencer. 

Andando più in profondità nella conversazione, si è parlato di oggettività e soggettività del giornalismo. Spesso, afferma Mastrodonato, nel trattare tematiche di diritti e di questioni sociali, si fa passare per soggettivo qualcosa di oggettivo. Del resto, trattare di diritti rende automaticamente complicato non far trasparire un certo giudizio negativo verso alcune violazioni. Giudizio che dovrebbe essere oggettivo in quanto schierato a favore dei diritti umani. Un giornalista non schierato su certi temi, è un giornalista che non sta facendo bene il suo lavoro secondo Mastrodonato. 

Un’ulteriore limitazione alla libertà di stampa è stata dimostrata nella diffusa reazione all’inchiesta sotto copertura operata da Fanpage nei mesi precedenti. L’operazione del giornalista in incognito che si è infiltrato nei movimenti giovanili di Fratelli d’Italia, è stata accolta con un’ondata di negatività estrema e di critica selvaggia di un procedimento giornalistico assolutamente normale.

Un altro esercizio di pressione sulla libertà di stampa per cui l’Italia è sotto i riflettori dell’UE da tempo immemore è la cosiddetta querela temeraria. Si querela un giornalista sapendo di perdere la causa, ma scoraggiando ulteriori articoli negativi o lesivi ai propri danni. Una tattica decisamente scorretta contro la quale, legalmente, in Italia, non c’è nessuna protezione, e che mette in discussione alcune tecniche che sono pilastri del giornalismo d’inchiesta. 

Riguardo al linguaggio, fil rouge del Festival di quest’anno, Mastrodonato si è dichiarato favorevole al cosiddetto politicamente corretto. Chi si occupa di lingua e di linguaggio per lavorare e per comunicare deve ora fare molta attenzione a ciò che scrive.

La visione negativa del politicamente corretto e l’idealizzazione del giornalismo di una volta hanno prodotto, secondo Mastrodonato, un concetto falsato di dittatura e di controllo dei mezzi dell’informazione di quella che in realtà è semplicemente una considerazione più completa e totale del mondo, in tutti i suoi aspetti. 

Sul tema del giornalismo riguardante migrazioni e carceri, Mastrodonato afferma che il linguaggio che il giornalismo e la politica utilizzano per descrivere, ad esempio, migranti e detenuti, si basa sulla sensazionalità e sull’emergenza.

Noi cresciamo nel linguaggio in cui siamo immersi e con i preconcetti che esso ci offre. Indagando certe situazioni più da vicino, si trova una verità che sta decisamente più nel mezzo. A fare notizia è la parte emergenziale, quella sensazionalistica, che serve a vendere copia – o a fare click. Il giornalismo cavalca dei filoni narrativi che amplificano il ciclo di emergenza senza però poi approfondire il tutto. Ciò che rimane al lettore è l’allarme non approfondito. 

Infine, due parole su Tredici, il podcast che ha raccontato le morti in carcere in Italia durante la rivolta di marzo 2020, in quella che è stata definita come la più grande strage carceraria dal secondo dopoguerra. Il podcast, prodotto tramite Il Post, è un interessante nuovo metodo di fare giornalismo, molto efficiente e direttamente comunicativo.

I podcast toccano le corde giuste anche emotivamente, e sono sicuramente più d’effetto. Tredici è stato molto apprezzato, ad ulteriore dimostrazione che indipendentemente dal mezzo, il giornalismo di qualità si valuta sulle fonti, sulla precisione dell’inchiesta e sull’impegno profuso nel portare a galla la verità.