Raccontare la guerra con un podcast. Cecilia Sala, giornalista in prima linea

Di nuovo sul giornalismo si è concentrata la sesta serata del Festival delle Rinascite di quest’anno. Per parlare dei filtri mediatici del giornalismo è stata ospite di Migliori di Così la giornalista Cecilia Sala,  in redazione al Foglio e ideatrice del famosissimo podcast giornaliero di Chora Media Stories, nato per raccontare in diretta quello che accade nel mondo con un mezzo completamente nuovo. 

Il podcast, sostiene Sala, è un mezzo estremamente adeguato ai nostri tempi frenetici, ma non tutti i contenuti audio che si ritengono comunemente podcast sono sempre tali. Si rende necessario, al fine di poter definire un prodotto realmente podcast, un elemento di narrazione che lo distingua da un radiogiornale. Inoltre, un podcast giornalistico non è necessariamente legato alla notizia del giorno, quella più importante nella gerarchia delle news, ma a qualsiasi storia che possa essere d’interesse per un’analisi e una conoscenza approfondita di ciò che ci circonda. 

Analizzando i dietro le quinte del suo lavoro, Sala ha affermato che la parte più difficile è il dover ricominciare da zero costantemente, e di doverlo fare dialogando con persone in difficoltà, che hanno ben altro a cui pensare. Persone che si devono preoccupare, in zona di guerra, della salute dei loro parenti e amici, più che di come rilasciare interviste o far trapelare informazioni. 

Ovviamente i nuovi mezzi d’informazione sono al centro della discussione, perché offrono dei mezzi veloci e semplici per tenersi in contatto con il mondo in condizioni difficili per il giornalismo – ad esempio, in questo periodo a Gaza, in cui nessun giornalista internazionale può entrare senza un embedment (un accordo) con l’esercito israeliano. È fondamentale avere accesso a determinati contenuti in momenti complicati a livello di libertà di cronaca e di informazione. 

In seguito, si è parlato del nuovo libro di Cecilia Sala, intitolato L’incendio. Un libro che parla di giovani in modo trasversale. Cecilia Sala ci ricorda che quando si parla di giovani, si parla di una stragrande maggioranza della popolazione in paesi come l’Iran o il Sudan. È difficile quindi parlare di «generazione» in senso esclusivo, come se si parlasse di un distaccamento della popolazione. 

In Iran, sostiene Sala, le proteste contro il governo centrale sono state così lunghe e resistenti perché c’erano giovani in strada, e si erano accorti di essere in tanti e di poter fare fronte comune. Allo stesso modo, i ventenni sono protagonisti della fase di storia attuale del paese in questa guerra che si sta combattendo. 

Un’ultima domanda è stata fatta su Masoud Pezeshkian e sulla vittoria del candidato riformista nelle scorse, recenti elezioni iraniane. Al di là del calcolo sbagliato compiuto dall’establishment iraniano, l’affluenza alle urne è stata bassissima. Questo è sintomo di una stanchezza evidente verso il sistema di voto, ormai non più sostenuto dalla popolazione. La maggioranza schiacciante degli iraniani è contro lo status quo. La forza dei giovani si esprime anche in questo aperto dissenso.