“La poesia è un seme di futuro nascosto nel presente, aiuta a mantenere alta la speranza”

“La poesia è un seme di futuro nascosto del presente”. È parola che aiuta a “mantenere alta la speranza e i grandi sogni”, a scoprire nell’orizzonte, “una visione più ampia, ascoltare una musica segreta, che rimane presente nelle cose”, a ritrovare il senso del sacro e di Dio. Così la intende il cardinale José Tolentino de Mendonça, poeta e prefetto del dicastero per la Cultura e l’Educazione, considerato una delle voci più autorevoli e note della cultura portoghese. “Una poesia si esprime in frasi spezzate – scrive – linee di corrente in collisione, esplosioni irrisorie/ ma è in attesa di qualcosa/ di abbastanza luminoso/qualcosa/ al di là dello scorrere stremato dei torrenti/ che verso l’alto elevi”. Lo abbiamo incontrato al Festivaletteratura di Mantova, dove ha presentato la sua più recente raccolta di poesie “Estranei alla terra” (Crocetti).

Come intende il rapporto tra poesia e fede?

“È un rapporto stretto, ma comporta anche un cammino. C’è un poeta portoghese che dice “al tempio non si va direttamente”. La poesia non è immediatamente un discorso di fede, la gran parte della mia poesia non parla di Dio, ma indirettamente per i vicoli della nostra umanità, con le sue pause, fratture, ferite, domande e inquietudini si va addensando il filo della fede, di una fiducia, un’apertura, che diventa sempre più decisiva. Alla fine la poesia ci insegna due cose importanti sulla fede: la prima è che la essa non è la risposta, è la domanda. Non è la soluzione, è il percorso; non è la meta, ma un movimento, è accendere il desiderio. La seconda è che la fede ha una grande esigenza di una verità umana che accetti la radicalità dell’essere umano, con il suo mistero, la sua fragilità, la sua vulnerabilità. Non è un salto sopra l’umanità, ma è un abbraccio a quella immensa, polifonica, turbolenta, a volte confusa, umanità reale”.

Le sue sono poesie di relazione, spesso c’è un interlocutore, un “tu” a cui si rivolgono. Chi immagina che sia? 

“Trovo interessante la proposta che fa la filosofa Simone Weil di tradurre la parola logos nel prologo del Vangelo di Giovanni in modo diverso dal solito. Comunemente viene interpretata come “in principio era la parola” o “il verbo”. Lei invece suggerisce che si possa tradurre logos, vocabolo della lingua greca antica che ha più di mille significati e sfumature, con la parola “relazione” e quindi la traduzione diventi “in principio era la relazione”. Questo per me va benissimo, perché credo molto nella forza della relazione. Anche la poesia è proprio un’esperienza di questo tipo, porta a pensare che l’essere umano abbia un bisogno più profondo del fondo dell’oceano di una relazione esplicita, che passa per una vita comunitaria. Credo molto nella forza e nell’importanza delle comunità, non solo religiose, ma anche culturali, poetiche e politiche e al contributo che esse possono dare alla storia umana, sia individuale sia collettiva. Allo stesso tempo l’uomo è alla ricerca di una relazione che si spinge nel mistero nella trascendenza, nell’orizzonte di Dio che è “tu” per eccellenza”.

Questo volume “Estranei alla terra” contiene due raccolte poetiche scritte nel 2005 e nel 2017, a dodici anni di distanza: che cosa le accomuna?

“La prima raccolta di questo libro si chiama “La strada bianca”. Il grande motivo della poesia è sempre la ricerca, perché in essa si fa l’esperienza di due movimenti distinti: da una parte l’ascolto, l’ospitalità dello sguardo, l’attenzione al vissuto, alle piccole cose perché la poesia è una forma di conoscenza, una lente di ingrandimento della vita. Grazie ad essa possiamo vedere con sguardo sensibile la complessità che alle volte si nasconde nel semplice, nell’immediato, nel flagrante. Allo stesso tempo la poesia è anche un motore di ricerca, e una domanda che ottiene provvisoriamente alcune risposte, ma rimane comunque aperta, e questa è la sua natura. La prima raccolta si muove tra questi due movimenti, l’attenzione e la ricerca. La seconda parte “Teoria della frontiera” è una sorta di antenna, capace di catturare le voci di questo mondo, la loro diversità, per esempio il dramma umano della migrazione e dei rifugiati. E ancora la questione di cosa comporti essere nel mondo, essere un corpo, immersi nella vulnerabilità dei processi storici. Alla fine fra queste due raccolte vedo una continuità, rispecchiano entrambe dimensioni profonde nel mio vissuto e di quello altrui. Il punto forte in cui convergono è l’idea dell’uomo viator, di questa sorta di nomadismo, di inquietudine che caratterizza la nostra condizione, perché noi rappresentiamo veramente una domanda che viene esplicitata in modi diversi, complementari, contrapposti, ma alla fine ci spinge sempre a percorrere una strada”. 

La poesia è un genere che restituisce alla parola serietà, profondità, e per lei che è sacerdote anche una sua sacralità. Cosa ne pensa e qual è il suo rapporto con la parola?

“Penso che la parola sia la più grande invenzione umana. Essa ci permette di trasmettere messaggi e idee, di dare nomi alle cose, sentimenti, emozioni, esperienze, creando il tessuto del vissuto, ma anche – come accade, secondo studi recenti, ai bambini più piccoli con il loro linguaggio pre-verbale – di tenere gli altri vicini e contrastare la paura dell’abbandono. La parola è importantissima anche nella nostra società, dove riscontriamo il grande pericolo della mancanza di una parola cordiale, sensata, saggia che possa incidere all’interno della comunità umana. Penso che la parola sia sacra perché ci aiuta a conoscere noi stessi. Senza le parole saremmo sconosciuti, stranieri a noi stessi. Esse ci permettono di creare una famiglia o una relazione perché ci fanno arrivare a un tu. Alla fine abbiamo bisogno delle parole per continuare questa avventura sempre aperta che è la nostra umanità”.

Come ha iniziato a scrivere poesie, c’è stato qualche poeta che l’ha particolarmente colpita e ispirata?

“Il novecento è stato nella letteratura portoghese un secolo d’oro perché noi abbiamo voci importantissime. Per gli uomini e le donne della mia generazione la poesia è stata ancora una scuola di iniziazione allo sguardo, all’ascolto, al desiderio, siamo partiti ancora dalla poesia per fare le grandi scoperte della vita, prima di tutto su noi stessi, su chi siamo. La poesia ha avuto un ruolo fondamentale e io ho trovato nella poesia del mio tempo, quella imparata a scuola e poi nelle mie letture personali il sostegno, il nutrimento, l’orizzonte dello stupore necessario per aprire gli occhi”.

A suo parere che ruolo hanno la poesia e il poeta nella società attuale?

“Da una parte il poeta ha perso la sua aura, si è secolarizzato, in questo senso non è più una figura sacra com’era in passato. Oggi socialmente non è più figura di riferimento, ma è diventata più anonima. Nel loro anonimato i poeti rimangono comunque una risorsa della quale l’umanità non può fare a meno, perché la poesia è un seme di futuro nascosto nel presente. Per questo è così importante ascoltare i poeti in tempi caratterizzati da una certa indigenza spirituale, in cui facciamo fatica a mantenere alta la speranza e i grandi sogni. Se ci lasciamo contaminare soltanto dall’agenda del presente, è come se l’orizzonte ci fosse rubato, mentre la poesia è la possibilità di ritrovare un orizzonte, una visione più ampia, ascoltare alla fine una musica segreta, che rimane presente nelle cose, nei gesti. Ancora la poesia ci dice che Dio non è ancora scomparso, che il sacro continua ad essere importante, forse con altre parole e altre espressioni rispetto al passato”.

Il tema del prossimo Giubileo è la speranza. In questo anno di celebrazioni la cultura e la poesia che spazio avranno? 

“Uno spazio importante, perché per esempio la liturgia non è prosa, è poesia. La parola di Dio è poesia, la preghiera è un’esperienza più vicina alla poesia che alla prosa. Anche il pellegrinaggio è un’esperienza di poesia. La poesia avrà quindi un ruolo fondamentale, perché si trova in ogni occasione in cui l’essere umano vive l’esperienza dell’indicibile, di quello che non si riesce a tradurre in un discorso immediato. È un silenzio che rimane, che ci fa avvicinare alla contemplazione, alla mistica, e questo ci è necessario per il viaggio della vita. Non c’è speranza senza ritrovare un’umanità vera, che sperimenti fino in fondo l’esperienza dell’essere, e la poesia è una componente che non si può scartare”.