L’orrore “ordinario” della guerra in Terra Santa narrato da Nathan Thrall

GERUSALEMME - ISRAELE LA MOSCHEA DELLA ROCCIA

Un autobus carico di bambini in gita scolastica viene coinvolto in un drammatico incidente, con morti e feriti. Un padre cerca di raggiungere il figlio ferito, ma non può, perché è palestinese e non può attraversare liberamente la città per raggiungere l’ospedale dove è ricoverato. Nathan Thrall in “Un giorno nella vita di Abed Salama” (Neri Pozza), vincitore del Premio Pulitzer, racconta la ricaduta della guerra sulla vita quotidiana. L’autore statunitense, che da anni vive a Gerusalemme, lo ha raccontato al Festivaletteratura di Mantova.

“La guerra – ha detto – per le popolazioni coinvolte ha anche un aspetto “ordinario”. Ho deciso di raccontare una storia umana, in modo che chi legge senta il bisogno di strapparsi i capelli di fronte alle ingiustizie che vede. Ho quindi pensato di scrivere una storia che facesse piangere chi l’avrebbe letta”.

Anche Paola Cariddi, autrice de “Il gelso di Gerusalemme” (Feltrinelli), prende in esame il conflitto in Terra Santa da una prospettiva particolare, a partire dagli alberi che non sono soltanto elementi del paesaggio, ma testimoni silenziosi dello scorrere del tempo e delle generazioni. “Gli alberi sono quel non umano che ci parla di una storia che non usa la nostra cronologia. Una storia più lunga che ci fa passare attraverso diverse cesure delle diverse epoche. Israele e Palestina sono luoghi che mostrano che l’architettura del paesaggio sia una precisa scelta politica. Che cosa significa piantare alberi? Cosa significa per uomini e donne il rapporto con gli alberi? Nei mosaici bizantini c’è sempre un uomo accanto a un albero. Un modo per parlare della questione israelo-palestinese attraverso ciò che gli uomini hanno fatto agli alberi”.

L’incidente di autobus narrato da Thrall è accaduto davvero: “Per me era importante raccontare una storia che spiegasse il quotidiano e questa vicenda mi ha profondamente commosso 

Questo libro parla di un sistema di dominazione etnica in una condizione di grande complessità. Ho pensato di aiutare il lettore a mettersi nei panni di una persona che naviga in questo sistema nel peggiore giorno possibile della sua vita, cercando di sapere in quale ospedale è ricoverato suo figlio, sapendo che non avrà accesso ad esso per il sistema dei check point e delle strade segregate”. 

La nostra attenzione si accende spesso solo in casi di esplosioni violente, spiegano Thrall e Cariddi, ma in mezzo c’è molto altro, eventi che continuano anche quando noi ci voltiamo dall’altra parte: “È un sistema ingiusto – sottolinea Thrall – e noi siamo complici di perpetuarlo. Ho cercato di attivare un’apertura del cuore perché tutti noi facciamo qualcosa di meglio”. 

La scuola dove vanno le figlie di Thrall porta avanti un interessante esperimento sociale: in ogni classe ci sono lo stesso numero di allievi ebrei e palestinesi e lo stesso vale per gli insegnanti. Si chiama “Mano nella mano, ed è una realtà unica e di difficile accesso”.