Gli adolescenti e il desiderio di una vita “reale”. Stoppa: “Ristabilire incontro positivo tra le generazioni”

Via dal Truman Show!

Per alcuni giorni tutte le attenzioni mediatiche sono andate a Paderno Dugnano. Riccardo, un diciassettenne all’apparenza del tutto simile a tanti coetanei e appartenente ad una famiglia che tutti hanno descritto come pacifica – felice – esemplare, si è reso l’autore dell’omicidio di madre, padre e fratellino con una modalità eccezionalmente “sanguinaria”.

Dalle poche dichiarazioni rilasciate emergono frasi come: “Mi sembrava che la mia vita e quella dei miei genitori fosse irreale”. Pare che l’adolescente volesse andare in Ucraina a “vedere la sofferenza delle persone”.

Francesco Stoppa – psicoterapeuta e filosofo intervenuto giovedì 12 settembre presso l’auditorium del Liceo Mascheroni di Bergamo all’interno della rassegna Molte Fedi sotto lo stesso cielo – ha citato questo fatto di cronaca, il suo protagonista e le sue dichiarazioni come esempio estremo per comprendere che cosa accade nel passaggio di vita necessario e drammatico dell’adolescenza.

“L’adolescente è qualcuno che lotta per sentirsi reale”, ma questa fatica necessaria per ‘nascere’ accade in una società che non riesce a prendere sul serio le nuove generazioni, che le seduce con una vita piena di confort perché se stiano ‘tranquille’ e le priva del diritto di soffrire.

Ma la vita senza sofferenza e dolore non esiste: è una finzione, un enorme Truman Show. Stoppa definisce questa società “infanticida” perché priva la nuova generazione del contatto con il reale. Così succede che alcuni soggetti per ovviare a questa sensazione di irrealtà finiscono per adottare comportamenti estremi e distruttivi. Come ristabilire un incontro positivo tra le generazioni? Questa la domanda che guida il lavoro di ricerca e divulgazione di Stoppa e che dovrebbe scuotere le coscienze degli adulti. Possiamo sintetizzare la pista di lavoro suggerita dall’autore di “L’età del desiderio”, “La restituzione” e “Istruire la vita” in tre parole chiave emerse proprio nel dialogo tenuto a Bergamo: incontro, complicità, ferita.

“Le tre età dell’uomo” è un dipinto di Giorgione custodito a Palazzo Pitti, a Firenze. Il dipinto ritrae tre figure maschili di età diverse, un giovane – un adulto – un anziano. Si tratta della stessa persona nelle grandi fasi della sua vita. Stoppa ha scelto questo dipinto come copertina del suo libro più noto “Le età del desiderio. Adolescenza e vecchiaia nella società dell’eterna giovinezza” e come punto di partenza per il suo intervento a Molte Fedi: il giovane guarda un cartiglio e si interroga, l’adulto sembra dargli suggerimenti e con il dito lo invita a prestare attenzione a ciò che legge, l’anziano si rivolge all’esterno, verso chi guarda la scena, con uno sguardo interrogante.

Le età della vita in questo quadro sono raffigurate come un incontro attorno alla stessa domanda: “Cosa facciamo in questo mondo in quanto umani?”. Nella società contemporanea la giovinezza è il momento del godimento e l’anzianità è intesa come il tempo della scomparsa o dei rimpianti. Invece tutte le stagioni della vita dovrebbero essere un susseguirsi di passi all’interno dell’indagine sul senso di sé.

L’appuntamento tra le generazioni, il loro incontro proficuo, dovrebbe accadere proprio attorno allo stesso interrogativo. Perché oggi sembra che una generazione sia completamente sganciata dalle altre? Nella società dell’individualismo la condivisione degli interrogativi non accade e l’incontro autentico tra le persone è soffocato da altre priorità. Il bisogno di apparire felici e adeguati copre la possibilità di esprimere interrogativi.

Ma ai più giovani “Servono adulti testimoni di come se la sono cavata nella vita: di come hanno avuto passione intendendo questo termine sia nel senso della sofferenza che dell’attrazione”. Serve che l’incontro tra le generazioni si liberi dalle formalità, dalle apparenze o dagli stereotipi: bisogna cogliere la forza della medesima domanda che accomuna tutti e avere il coraggio di una condivisione libera. Per Stoppa servono adulti senza maschere di cera, che si mostrino con tutte le loro rughe.

Quando pensi di avere tutte le risposte, la vita di cambia tutte le domande.

Charlie Brown

Un padre modello che genera un figlio clone? No, grazie. La nuova generazione sfida quelle più adulte provocandole sulla loro etica, sulla solidità dei valori e la coerenza con la quali li riescono a vivere. Di più ancora i giovani cercano adulti disposti a condividere la stessa ricerca di senso e di verità, persone capaci di attraversare il tempo della trasformazione lasciandosi trasformare. I giovani, secondo Francesco Stoppa, chiedono una presenza complice: persone pronte a giocare insieme la stessa partita della vita con la dovuta autorevolezza. 

La provocazione lanciata al pubblico di Molte Fedi diventa quindi “C’è vita prima della morte?”. Agli occhi della nuova generazione, quella degli adulti sembra una vita viva? Si trovano spesso padri molto diligenti, genitori attenti alle regole e alle performance, qualche volta direttivi. Ma anche molto distratti: amano i loro figli ma non si capisce se amano la vita. Talvolta addirittura l’adulto vive una rivalità con la nuova generazione: ama il figlio in quanto figlio ma odia la vita che c’è in lui perché lo provoca.

La percezione di estraneazione dall’esistenza autentica, il senso di confusione tra reale e immaginario, l’ipotesi di essere prigionieri di una grande sceneggiata collettiva – un Truman Show – appartiene ai più giovani, ma la conduzione alla scoperta del reale dovrebbe essere compito degli adulti. Tuttavia, non sempre gli adulti sembrano essere all’altezza di questo compito o disposti a condividere il medesimo cammino. Laddove non si accende la scintilla della complicità resta il silenzio e nell’ambiguità si generano altre sofferenze e incomprensioni ancora maggiori. Solo insieme si cresce. 

“L’adolescente è qualcuno che lotta per sentirsi reale. Ma bisognerebbe concludere la frase aggiungendo che è qualcuno che lotta perché anche quelli che sono attorno lo siano”

Francesco Stoppa

La sofferenza va nascosta, sminuita, allontanata. Così pensano i più, così agisce la società. Eppure il tempo della prova che mostra la fragilità è il più autentico, è il tempo dell’umano vero perché mette a nudo e apre lo spazio della condivisione. Il vero luogo di incontro tra adolescenti e adulti sono le ferite e l’oggetto del confronto da costruire è il modo con il quale vivere la condizione della frattura. Pare che la sofferenza sia negata ai più giovani, che non sia concesso che possano stare male, che debbano solamente godere del presente.

Accade però che sempre più ragazze e ragazzi sfuggano a questo stato delle cose figlio dell’apparenza anche con comportamenti che rasentano l’eccesso, toccano i limiti della sopravvivenza e che spaventano gli adulti quali gli atti di autolesionismo. Secondo Stoppa, la missione che le generazioni devono condividere è la costruzione di un’alleanza che sappia farsi carico delle ferite dell’altro e, più in generale, della condizione di fragilità che appartiene a ognuno.

In questa epoca di tecno-capitalismo e di individualismo sfrenato tutte le forme di legame sono messe a dura prova. Le istituzioni, ovvero i soggetti che danno forma alle relazioni collettive e che dovrebbero operare le necessarie mediazioni, sono messe sotto attacco e soccombono lasciando i soggetti più poveri, disorientati e indifesi. L’odio per i legami nella psicoanalisi è una condizione psicotica ma è quanto sta accadendo a livello collettivo. La sfida da raccogliere e affrontare insieme è quindi quella di stringere nuove alleanze e ridare il giusto peso alla cosa pubblica.