Prendersi cura del creato: settimana teologica a Camaldoli per il Meic

Il bosco del monastero di Camaldoli (Foto Margherita Giua)

Anche quest’anno il MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale riparte da Camaldoli (AR), immerso nella splendida foresta casentinese, dove dal 26 al 30 agosto presso il Monastero e la sua Foresteria si è svolta la Settimana teologica.

Il legame con la foresta quest’anno è stato particolarmente evidente, dato il titolo della Settimana “Prendersi cura del creato”. 

Molti gli spunti offerti dai relatori le cui competenze hanno spaziato tra aspetti giuridici, etico-filosofici, teologici da una parte, e scientifici, tecnici, naturalistici, storici dall’altra parte.

Proprio questi ultimi hanno mostrato il particolare rapporto tra la comunità monastica di Camaldoli, fondata da San Romualdo nel 1012, e la sua foresta. Infatti per questi luoghi e la conservazione delle Foreste (oggi protette all’interno del Parco nazionale delle Foreste casentinesi, Monte Falterone e Campigna, situato appunto nell’Appennino tosco-romagnolo, lungo il confine tra le due Regioni, istituito nel 1993) fondamentale è stato l’insediamento monastico plurisecolare dei Camaldolesi.

Il tutto è stato ben illustrato nella Giornata di studi storici, che si è svolta all’interno della Settimana teologica nella mattinata del 29 agosto, con titolo “Dal Codice forestale camaldolese alla spiritualità della terra”, promosso dalla Fondazione Camaldoli Cultura onlus in collaborazione con l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI”.

«Quest’anno ci dedichiamo al tema della cura del Creato, e non possiamo non parlare anche della cura che i monaci hanno sempre avuto per questa foresta, che in parte è anche artigianale, creata dall’incontro della natura e l’uomo, che sorge proprio a Camaldoli», ha spiegato il professor T. Torresi presentando la Giornata. «L’idea di fondo è prendere esempio dall’ora et labora che è la base della vita dei monaci».

La regola dei benedettini, cui si ispira anche quella dei camaldolesi (che ne sono un ramo) contiene una significativa indicazione anche sul rapporto uomo/natura. I monaci hanno sviluppato le loro comunità in una mirabile armonia e coralità con la natura, con le creature che insieme ai monaci innalzano i loro canti. Come i tronchi i rami e le foglie di queste piante meravigliose unite a Dio si slanciano verso l’alto, così i monaci uniti a Dio innalzano inni di lode al Creatore. 

Non a caso nella chiesa dell’Eremo di Camaldoli alcuni dipinti portano la scritta: “Come un platano”, “Come una pianta di rose”, “Come una palma” etc.

Vogliamo approfondire questo aspetto per arrivare «alla consapevolezza che noi non siamo né ospiti né padroni di ciò che ci circonda, ma custodi, dunque l’uomo è dentro un particolare ambiente non perché lo deve sfruttare o ignorare, ma per prendersene cura» – ha detto ancora il prof. Torresi, docente all’Università degli Studi Roma Tre –.

Il Codice forestale camaldolese è stato il primo al mondo. La regola dei monaci prevede la dimensione contemplativa e quella attiva, ossia attività culturale e lavoro manuale. Per questo la cura della foresta è stata da sempre una prerogativa dei monaci. Le regole camaldolesi – ha spiegato Ubaldo Cortoni, monaco camaldolese, bibliotecario e archivista presso la Comunità Monastica di Camaldoli e professore di teologia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma – imponevano di creare foreste ed accrescere quelle esistenti, così ogni anno venivano collocate a dimora almeno tremila piantine. Nel 1857 e nel 1859 vennero piantate infatti oltre quarantamila abetine. 

Nella legislazione e ampia regolamentazione che i monaci camaldolesi avevano dettato per la gestione del patrimonio forestale vi era una norma che prevedeva “prima piantate, poi tagliate”: il diritto di tagliare le piante, accuratamente selezionate e scelte, nasceva solo dopo aver adempiuto all’obbligo di ripiantarne altrettante nei luoghi e nei modi adeguati per garantire la buonasera conservazione della foresta. 

Basterebbe questa semplice regola, abbiam pensato tutti, anche ai nostri giorni per salvaguardare le nostre aree verdi, le foreste amazzoniche e tanto altro. Ma per dare questa regola ci vuole una volontà politica, una consapevolezza dell’importanza della foresta, che i monaci camaldolesi mille anni fa avevano e che noi oggi dobbiam tornare a coltivare. 

Margherita Giua