Molte Fedi, religioni come vie di pace. Un incontro a Fontanella di Sotto il Monte

Nella suggestiva cornice dell’abbazia romanica di Sant’Egidio, a Fontanella di Sotto il Monte, il percorso culturale Molte Fedi sotto lo stesso cielo ha concentrato alcune delle domande più complesse e più scomode da porre oggi alle religioni monoteiste: sono causa di divisione e di violenza? Si sanno relazionare tra loro? Hanno ancora senso di esistere dopo la rivoluzione scientifica e tecnologica? È possibile un dialogo con la cultura contemporanea e la scienza?

A riflettere su questi temi sono stati chiamati padre Bernardo Gianni, abate della basilica di San Miniato al Monte a Firenze, Izzedin Elzir, Imam di Firenze dal 2001, dal 2010 al 2018 già presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia e Martina Loreggian rabbina progressiva italiana il cui pensiero è giusto attraverso uno scritto perché costretta ad assentarsi a causa di un improvviso problema di salute. 

Don Giuliano Zanchi, oggi direttore della Rivista del Clero Italiano, ha moderato il dibattito. 

La prima sollecitazione offerta ai tre rappresentanti delle religioni monoteiste è arrivata dalla citazione di un breve testo di Marc Augé pubblicato nel 2016. L’antropologo francese immagina che venga dato l’annuncio che “Dio non esiste!” direttamente dal Papa durante la celebrazione della Pasqua scatenando una serie di reazioni e di cambiamenti tali da rivoluzionare il mondo.

La scena, provocazione frutto della fantasia dell’autore, ricalca un ideale tipico della cultura occidentale novecentesca quando la fine delle religioni sembrava imminente e, per molti, auspicabile. La scomparsa dei ‘credo’ religiosi e delle differenze che ne scaturiscono sarebbero stati l’opportunità per un mondo finalmente in pace e per la libertà delle persone da ogni condizionamento. La storia non è andata in questa direzione ma l’interrogativo su quanto le religioni siano all’origine della violenza non ha perso di forza.

«Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion, too
Imagine all the people
Livin’ life in peace
You»

John Lennon, Imagine

Izzedin Elzir – originario di Hebron, in Cisgiordania e trasferito in Italia nel 1991, sensibile all’argomento anche per la sua biografia – risponde con un’altra domanda: perchè non abbiamo il coraggio di prenderci la responsabilità dei nostri atti? La violenza esiste a causa delle scelte degli uomini: anche laddove le religioni sono state messe al bando come è accaduto in Unione Sovietica o durante altre dittature che hanno imposto l’ateismo si sono verificate violenze e persecuzioni.

Per la guida della comunità islamica la violenza nasce nel cuore dell’uomo e si realizza attraverso le sue azioni. Cita la figura biblica di Adamo: i suoi figli, Caino e Abele, vivono uno scontro, uno uccide l’altro. Appartengono alla stessa famiglia, allo stesso popolo, alla stessa fede, alla stessa razza e cultura eppure conoscono la violenza, segno che questa tentazione è profondamente radicata nel cuore dell’uomo, non imposta dalle religioni. 

“A noi piace la cronaca nera” afferma: alla narrazione di esperienze di convivenza pacifica, di scambi commerciali e culturali che hanno segnato la vita nel bacino del Mediterraneo e tessuto rapporti tra oriente e occidente preferiamo la narrazione degli scontri, delle guerre di religione e degli estremismi. Invita quindi a guardare con maggiore attenzione alla storia: “Le religioni sono vie di sviluppo e di progresso”.

Impossibile non citare il conflitto israeliano-palestinese: si chiede Elzir se il problema in quella terra ancora oggi insanguinata sia dettato dalla differenza religiosa o dalla disparità di diritti. 

Gli fa eco il monaco olivetano: “Le religioni sono accomunate dalla ricerca dell’Assoluto. Concepiscono il cammino dell’uomo come un ascolto obbediente e scoprono che il metodo dell’apertura all’eterno ha la forma dell’amore”. Sono proprio le religioni – sostiene padre Bernardo – a concepire l’uomo come finito, fragile, inquieto e quindi alla ricerca della pienezza.

Al contrario di quanto si pensa comunemente, proprio il pensiero autenticamente religioso può aprire la strada alla pacificazione: “In un mondo dove fiducia e relazioni muoiono si sacralizza la paura. Si realizza la disumanizzazione quando la mia vita cerca futuro eliminando l’altra vita”. La religione è riconoscimento della fragilità e quindi fame d’amore.

Certo esistono forme di intransigenza e fanatismo in ogni esperienza religiosa che si accentuano quando la diffidenza verso l’altro e verso l’ignoto diventano motivo di angoscia. In questi casi l’esperienza religiosa si trasforma “in un recinto di rassicurazione”.

Ma, riconosce il monaco, esiste anche “l’intransigenza della non-fede”: il laicismo rigido che impone di de-sacralizzare tutto. Le fedi autentiche sono quelle che custodiscono la forza delle domande, la dimensione della ricerca e la tensione al desiderio dell’incontro.

«La fede sente l’ebrezza di aspirare al raccordo tra cielo e terra e lo sente come amore»

padre Bernardo Gianni

Nel testo inviato dalla rabbina Martina Loreggian si legge: “Dagli stessi testi sacri sono emersi odio, patriarcato, violenza ma anche esperienze di pace e fraternità. Le Scritture ricalcano e sollecitano il cuore degli uomini: insieme di meschinità e amore”. Ma non può essere la sola ragione a identificare al via della convivenza pacifica: la storia del ‘900 ne è la dimostrazione. Attraverso la ragione si possono creare mostri tanto orribili quanti ne può generare il “sonno della ragione” stessa. E cita il frammento di una preghiera ebraica che viene recitata ogni mattino dalle persone devote: “Concedici una generosa gentilezza”.

“Più che convincere l’estremista bisognerebbe provare ad ascoltarlo, a capirlo”. Imam Izzedin non giustifica l’aggressività ma cerca una via per superare le divisioni. Suggerisce che sia poco efficace porsi in contrapposizione, alimentare uno scontro tra giusti e sbagliati: solo il dialogo riesce a smontare le caricature delle fedi e va praticato sia in senso inter-religioso che intra-religioso.

La storia anche recente ci consegna infatti lotte fratricide interne agli stessi monoteismi che solo l’apertura di un dialogo serio può disinnescare: cattolici contro riformati, sunniti contro sciiti, correnti del mondo ebraico in conflitto tra loro. E riferisce di uno studio fatto sui terroristi di matrice islamica in Francia: più che nelle moschee gli estremismi sono nati nelle carceri dove la dignità riconosciuta alle persone e la speranza verso il futuro sono ridotte al minimo. 

In un mondo tecnocratico dove l’economia è l’unica regola il ruolo di tutte le fedi è quello di ribadire che “l’umanità è più del suo funzionamento”. Il senso del mistero, la certezza che non ci sia una risposta per tutte le domande, la propensione al silenzio sono condizioni che possono creare incontro e reciprocità tra diversi – sostiene il monaco.

Cancellare le particolarità e ipotizzare un’uguaglianza omologante forzando l’integrazione e perdendo l’interazione sono violenze che generano risentimenti – aggiunge l’imam.

Una cultura che non riduce il vero al solo sapere scientifico colloca anche la tecnologia in una comprensione globale dell’uomo e della vita. Permette di custodire esperienze fondamentali quali “gratuità, festa, inclusione, bellezza, che danno uno spazio ad ogni forma dell’umano”. E non perde il valore della libertà e quindi il senso della responsabilità.