Don, i ragazzi ucraini? Ma perché la guerra? Come prendersi cura delle domande dei teenager

Bombardamenti in Ucraina a marzo 2022

Seconda ora del venerdì, la prima delle mie tre di lezione quel giorno. Entro in seconda “A”: una classe vivacissima, da tenere sollecitata perché resti concentrata ma che mi regala grandi soddisfazioni.

I ragazzi sono simpatici e anche i cosiddetti “casinisti” sono capaci di gestire la loro esuberanza e di impegnarsi nelle discussioni quando vengono stimolati.

Avendo consegnato le verifiche, concedo loro che per un paio d’ore non proseguo con il programma di storia della chiesa medievale, ma possiamo parlare insieme di un argomento.

Prima che parli io, dopo l’appello, parla il gruppetto delle ragazze, simpaticissime in quella classe e alle quali non sfugge nulla. “Don, ma come sta la famiglia ucraina che ospitate in casa parrocchiale? Come sta la mamma? E la ragazza?”.

Che cosa vuol dire per i teen-ager avere a che fare con la guerra


Avendole viste in oratorio qualche giorno prima, mi viene da sorridere e chiedo: “Stanno bene, ma sicure che è solo questo che volete chiedermi?”.

Si guardano l’una con l’altra, sorridono e completano la richiesta, in modo furbo come sempre: “Ma certo don! Beh, diciamo che il fratello di quella ragazza… è un bel ragazzo.. altissimo, capelli lunghi.. beh ha un anno in più di noi ma potrebbe sempre venire in classe con noi…”.

Rido nuovamente sotto la mascherina di fronte alla loro affermazione: che bella età, dalla quale siamo passati tutti e ogni tanto mi torna alla mente con un velo di nostalgia.. Da qui, però, la lezione prende una piega ben precisa.

Noto che i ragazzi hanno disegnato e affisso al muro bandiere dell’ucraina e cartelli con la scritta inglese “stop war”. Chiedo: “Mi spiegate quei cartelli ragazzi? Cosa mi dite di questa guerra?”.

Tanti coetanei fra i profughi: e questo li colpisce

Contrariamente a quanto siamo soliti pensare e affermare, sono informati, eccome. E portano domande sulle quali occorre fermarsi, senza aver fretta di rifugiarsi dietro il programma scolastico da concludere.

I ragazzi in casa hanno parlato della guerra, hanno visto immagini. E hanno riflettuto. C’è chi è stato colpito dalla distruzione delle città, chi dalla morte del bimbo Kirill, la cui immagine sembra una deposizione di Cristo dei giorni nostri.

C’è chi, più attento e maggiormente coinvolto nel pensiero dalla famiglia, entra anche in argomenti delicati e mi dice di aver percepito che il patriarca ortodosso Kirill deve aver detto qualcosa di grave, ma di non aver capito bene la questione.

Provo a spiegarla. Una domanda aleggia: “Perché la guerra?”. L’eventualità di una guerra nucleare spaventa i ragazzi: credo che l’aver visto arrivare a Grumello diverse famiglie ucraine e diversi loro coetanei li abbia scossi e abbia attivato in loro un bellissimo sentimento di solidarietà.

Parlare di guerra per allontanare la paura

Solo due giorni prima un bambino delle elementari, mentre ero al bar dell’Oratorio per un caffè con la mamma che ospitiamo in casa parrocchiale, si era avvicinato a lei e, con l’aiuto di Google Translate, le aveva mostrato il suo messaggio scritto sul cellulare preso in prestito dal padre: “Mi dispiace per il tuo popolo. Prego per voi”.  

I nostri ragazzi hanno sentito, esattamente come me che ragazzo non sono più, la guerra vicina. E vogliono parlarne, per capire, per allontanare la paura che viene dalla percezione di un futuro a rischio per tutti.

Ho visto nei miei alunni un crescendo di umanità importante: io spero che la guerra finisca presto, ma che non finisca mai l’attenzione e la solidarietà verso tutte le persone che fuggono da situazioni così, perché, come i miei stessi alunni ricordavano, di guerre al mondo ce ne sono molte e ignorarle per il semplice fatto che sono lontane ci rende complici di quel male.