I risultati del Rapporto Invalsi e i cambiamenti della scuola: meno saperi, più entertainment

Il Rapporto INVALSI – Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione – del 2024 consta di 161 pagine di analisi e grafici, che restituiscono i risultati delle prove che hanno coinvolto oltre 12.000 istituti scolastici, statali e paritari, circa 2.500.000 studenti e studentesse, insieme alle loro famiglie e al personale scolastico, e hanno portato alla somministrazione di oltre 2.400.000 prove cartacee (nella scuola primaria) e di circa 5.000.000 prove computerizzate (nella scuola secondaria di primo e di secondo grado).

La rilevazione 2024 ha interessato tutti gli allievi e le allieve delle classi seconda e quinta di scuola primaria, della classe terza della scuola secondaria di primo grado, della seconda e ultima classe della scuola secondaria di secondo grado. Esse hanno riguardato Italiano, Matematica, Inglese-Reading, Inglese-Listening.

La prova di Italiano verifica la capacità di lettura, comprensione e interpretazione di un testo. La prova di Matematica affronta alcuni temi del pensiero matematico. La prova di Inglese rileva le capacità di comprendere un testo scritto e un audio-ascolto. La rilevazione è in modalità censuaria, non a campione. 

Le cinque macro-aree territoriali di rilevazione sono: il Nord-Ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Liguria), il Nord-Est (Provincia autonoma di Bolzano, Provincia, autonoma di Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna), il Centro (Toscana, Umbria, Marche e Lazio), il Sud (Abruzzo, Molise, Campania e Puglia), il Sud-Isole (Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna).

Complessivamente, le prove di Italiano in tutte le classi oggetto di verifica segnalano una stagnazione da Covid, da cui si fatica a uscire. I livelli pre-Covid non sono ancora stati recuperati. Ovviamente, con differenze significative tra i vari indirizzi, in particolare tra i Licei, gli Istituti tecnici e gli Istituti professionali. Si registra “un effetto pandemico a medio-lungo termine sugli apprendimenti, che ancora fatica ad attenuarsi”.

I livelli di apprendimento stabiliti sono 5: 1 e 2 sono quelli dell’inadeguatezza, 3 quello della sufficienza, 4 e 5 quelli dell’eccellenza. Rispetto a questa scala, la percentuale di inadeguatezza in Italiano raggiunge il 40% a Bolzano e in Sicilia, ma tocca punte molte alte anche in alcune regioni del Nord. Le osservazioni fatte per Italiano valgono, grosso modo, anche per Matematica. Solo l’Inglese conosce un progressivo miglioramento, che, con tutta probabilità, è piuttosto effetto dei “social” e dei consumi culturali che delle lezioni scolastiche. 

L’indagine INVALSI analizza i dati in base ai seguenti parametri: Sesso, Percorso di studio, Background sociale, Background migratorio, Territorio. 

Nessuna sorpresa: si registra un’avanzata delle bambine già al termine dei cinque anni della scuola di base. Nei segmenti superiori, l’andamento tra maschi e femmine è più altalenante.

I percorsi di studio difficili o da ritardatari spiegano i risultati più scarsi. Inoltre, se sei di famiglia di livello economico-culturale basso, se sei figlio di immigrati, parti assai svantaggiato e lo si vede dai risultati finali. Se abiti al Sud e nelle Isole, tutti i livelli si abbassano. 

Questa fotografia del sistema d’istruzione, che ogni anno l’INVALSI mette a disposizione degli operatori e dei decisori, si presta a molte letture, più o meno pessimistiche o ottimistiche. Il Rapporto si limita ad evidenziare tre segnali positivi e tre negativi.

I segnali positivi: migliora la conoscenza dell’Inglese. Considerato che si tratta di una “koiné” mondiale, il possesso di questa chiave nell’epoca della globalizzazione apre molte porte. Si registra un tenue miglioramento dei livelli complessivi del Mezzogiorno. La dispersione scolastica scende al 9,4%; nel 2019 arrivava oltre il 13%. 

I segnali negativi: le forti disparità territoriali tra Nord e Sud, tra Regioni e Province; un sistema iniquo, incapace di recuperare i livelli 1 e 2 e di fare promozione dei livelli di eccellenza, che in letteratura internazionale sono chiamati “gifted”; differenze notevoli tra i macro-indirizzi, cioè tra Licei, Tecnici e Professionali.

Gli apprendimenti restano fragili e alimentano la dispersione scolastica, sia quella “esplicita”, che il Documento del 2022 dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, intitolato “La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale”, poneva al 13,1%, sia quella “implicita”, per la quale i ragazzi escono con un titolo di scuola media superiore, ma sono privi delle competenze che quel titolo teoricamente assegna loro. 

L’INVALSI accompagna e fotografa da vent’anni la lunga stagnazione del sistema di istruzione. “Le riforme” degli ultimi vent’anni non hanno modificato di molto la struttura ordinamentale dell’offerta e la qualità dei suoi contenuti. Scivolano sul marmo. Così i segnali negativi, di cui parla il Rapporto, durano nel tempo con la stessa intensità. Il Covid li ha pesantemente accentuati. Per una ragione, forse, ineliminabile.

Se il Paese non cresce, se il Paese è stanco, se i singoli e i gruppi economico-sociali non hanno più voglia di aprirsi una strada verso il mondo e se il mondo è sempre più disordinato e ostile, se la società, l’economia e la politica – in altre parole, il mondo adulto – non si assumono responsabilità e non prendono decisioni, il sistema di istruzione non è più in grado di fungere da motore di civiltà.

Forse è finita la favola bella, nata nel ‘700, delle scuole come nuovi monasteri della civilizzazione moderna, dietro alla quale stava l’idea della Ragione come forma della società e dello Stato. È certamente stata anche un’utopia del ’68. A quanto pare, invece, il sistema di istruzione rispecchia pigramente il Paese reale, la frammentazione socio-culturale dei territori, le diseguaglianze e le povertà socio-culturali. Mentre continua a mancare la ristrutturazione dei quattro pilastri del sistema – curricula, assetto istituzionale-amministrativo, ordinamenti, politiche del personale – la scuola sta comunque cambiando, da sola e spontaneamente in peggio, sotto la pressione sempre più esigente delle famiglie, della società della comunicazione, e, perciò, della politica.

Lo spazio delle discipline è sempre più eroso da educazione civica, PCTO, viaggi di istruzione, conferenze le più svariate – dall’Unicef, all’AVIS, agli Alpini, ai Carabinieri… -. Il tutto all’insegna della dittatura imperante del politically correct, si intende. L’insegnante che voglia, per esempio, insegnare Storia per spiegare ai ragazzi in quale punto dello spazio-tempo storico si trovano a vivere, riesce a rimediare a fatica due orette alla settimana.  

La scuola sta diventando il cireneo socio-psicologico delle fragilità dei ragazzi e dell’impotenza educativa delle famiglie. Complessivamente si restringe lo spazio dei saperi disciplinari, aumenta quello dell’entertainment sul modello social. A tutto ciò si deve aggiungere la penetrazione invasiva delle “carte” burocratiche, trincea necessaria dei dirigenti e dei docenti contro l’assalto dei potenziali ricorsi. Il personale si trova sotto ricatto permanente dei ricorsi da parte delle famiglie. Le accuse di “abuso d’ufficio”, dalle quali gli amministratori pubblici sono stati posti al riparo, incombono imperterrite nelle scuole, in mille fantasiosi modi.

Rispetto a questo quadro, l’INVALSI non può che continuare il proprio onesto mestiere, anno dopo anno, arricchendo l’album fotografico della scuola italiana. È prevedibile che anche nel 2025 i mass-media metteranno la fotografia in una pagina per un giorno, la politica le concederà uno sguardo distratto, gli intellettuali italiani continueranno a fare le vergini stolte. Ma, come accade sempre più spesso di questi tempi, dalla Storia rischia di arrivare non lo Sposo, ma qualche choc inaspettato.