Giustizia come perdono: le esperienze di Casa Samaria e Patronato di Sorisole

Riprendere in mano la propria vita, dentro un percorso di cura, fatto di una dimensione familiare, la ripresa dei ritmi di lavoro e la costruzione di legami positivi: Casa Samaria da una ventina d’anni è uno dei tanti servizi offerti dall’Istituto Palazzolo a Bergamo. Una realtà piccola (ospita al massimo sei donne) che offre però un segno di cura prezioso: la costruzione di progetti alternativi alla detenzione in carcere che permettono poi un positivo reinserimento nella società.

“Casa Samaria è nata nel 2005, dalla riflessione portata avanti insieme dai cappellani delle carceri, da Caritas e dalle suore delle Poverelle – racconta suor Margherita Gamba, superiora della Casa -.  Ci siamo chiesti cosa potevamo offrire alle donne quando uscivano dal carcere o prima di uscire, per evitare che si trovassero da sole fuori dal carcere, senza sapere dove andare”.

A Casa Samaria vivono tre suore, insieme a sei donne che hanno ottenuto dalla legge la possibilità di scontare una parte della pena fuori dal carcere. “Noi le accogliamo e cerchiamo di fare famiglia con loro – prosegue suor Margherita -. La prima cosa che diamo è l’accoglienza, senza giudicare: guardiamo la persona, non il reato. Con alcune donne ci conosciamo già prima del loro arrivo, perché io faccio servizio anche dentro il carcere e già lì abbiamo modo di parlare”.

La vita a Casa Samaria è fatta di semplicità e vuole aiutare le donne a riprendere una vita normale. “L’intento è tornino nella società come risorsa, non come problema. Qui devono tornare a rispettare degli orari e delle regole. Vengono coinvolte nella gestione giornaliera della casa: dalla pulizia alla preparazione dei pasti. Dedicano poi ogni mattina e ogni pomeriggio il loro tempo a un piccolo laboratorio di sartoria, nato in funzione prima del carcere: produciamo magliette e boxer da portare ai detenuti che non hanno nessuno”.

Dalle 9 alle 12 e dalle 14.30 alle 18 le donne dunque sono all’opera in laboratorio. “Questo impegno rappresenta una prima messa alla prova per il futuro, a partire dal rispetto degli orari e dei ritmi. Per sostenere economicamente le nostre attività, produciamo anche altro: qualcuno che ci conosce ci commissiona borse o magliette”.

Grazie al sostegno di Caritas e della fondazione Pia Opera Calepio le donne ricevono una piccola somma, che hanno a disposizione da gestire. “Possono iniziare a fare delle piccole spese, come la scheda del telefono, e devono gestirla, sempre sotto la nostra custodia. I soldi spesso sono alla base dei reati: in questo modo tornano a rispettare le regole”.

Casa Samaria si prende cura delle donne anche quando finisce la loro permanenza qui. “Cerchiamo di trovare uno sbocco lavorativo all’esterno, spesso grazie a delle borse lavoro. Abbiamo due appartamenti, in via Zanica e in Palazzolo, dove alcune di loro vivono i primi passi dell’autonomia quando escono da qui. Ad alcune di loro siamo riuscite anche a proporre corsi di formazione, come quello di parrucchiera e il corso Asa: questo permette di fare un salto di qualità e spendersi diversamente nella società”.

Accanto all’impegno delle suore, a Casa Samaria gravitano anche diversi volontari, i ragazzi del Servizio civile e gli studenti che svolgono l’alternanza scuola-lavoro, oltre ai ragazzi di scuole e oratori che vengono per conoscere questa realtà. “Siamo una casa piccola, forse ancora poco conosciuta – conclude suor Margherita -. Ci piacerebbe sensibilizzare la società tutta rispetto alla preziosità dei percorsi alternativi al carcere, che portano a una diminuzione della recidiva, al benessere della persona e ad un reinserimento più facile nella società. I percorsi delle donne passate di qui in questi anni sono stati quasi tutti di successo: sono pochissimi quelli interrotti prima di una conclusione positiva”.

Casa Samaria ospiterà uno degli incontri del triduo in preparazione alla festa patronale di Sant’Alessandro: giovedì 22 alle 20.45 suor Margherita dialogherà con don Dario Acquaroli, direttore della Comunità don Milani del Patronato di Sorisole, sul tema della fraternità ferita e della giustizia come perdono.