“Giustizia per costruire un mondo umano, salvaguardando la dignità delle persone”

Nel cielo di Dante la giustizia brilla come una stella – nel primo canto del Purgatorio – con altre tre: prudenza, fortezza e temperanza, e insieme sono le virtù cardinali. Un’immagine suggestiva, che invita a distogliere lo sguardo dall'”oceano dell’ingiustizia” per sollevarlo verso l”alto, e trovare così il coraggio di percorrere nuove rotte, nel segno della speranza.

È l’auspicio che il vescovo Francesco Beschi in Cattedrale ha consegnato nell’omelia pronunziata per la solennità di Sant’Alessandro, patrono della città, quest’anno attraversata per scelta congiunta di Comune e Diocesi da una riflessione sulla giustizia.
Giustizia, prudenza, fortezza e temperanza, ha spiegato monsignor Beschi, costituiscono “i cardini della nostra vita”. Sono forti se rimangono insieme, perché ognuna “senza le altre ne esce indebolita”.

La virtù della giustizia non può essere separata dalle altre: “Altrimenti – ha proseguito il vescovo – si riduce a riflessione astratta sulla correttezza delle procedure formali. È il rischio di una legalità svuotata dai fondamenti valoriali e condivisi, o riempita di connotati disumani. Nel 1937 i nazisti costruirono il campo di concentramento di Buchenwald. Sul cartello c’era scritto “a ciascuno il suo”, tragica deformazione del significato essenziale della giustizia. Quanta ingiustizia nella storia del mondo giustificata da una giustizia deformata da ideologie disumane o da interessi di parte”.

Che cosa significa esercitare la giustizia nella vita, a livello personale? “Nello sport – ha chiarito il vescovo – come nella vita si dice “vinca il migliore”, e questo comporta la sconfitta degli altri. Nell’esercizio della virtù, invece, il vincitore non è chi è superiore agli altri, ma chi è protagonista di un superamento nei confronti di se stesso. Non basta migliorare le performance personali, aziendali e sociali, è necessario migliorare se stessi alla luce dei cardini fondamentali della vita umana, perseguendoli con la propria libera volontà. Dare il meglio di sé significa esercitare la volontà non perseguendo il proprio e scontato interesse, ma ciò che è equo e buono per tutti”.

Il vescovo si è soffermato sulla giustizia come virtù sociale, “condizione decisiva per la costruzione di un mondo umano”, aprendo un orizzonte ampio, che abbraccia l’agire dell’umanità nella sua interezza: “Papa Francesco insiste spesso sulla strutturale ingiustizia di un modello di sviluppo che produce come inevitabili gli scarti ambientali e sociali, e infine scarti umani. Non basta una visione diversa dello sviluppo, è necessaria una volontà personale e condivisa volta a perseguire uno stile più umano e più giusto, una volontà frutto della nostra decisione. Ad attuarla spesso sono persone che non elaborano teorie, ma quotidianamente contribuiscono a rifare il mondo, con l’umile perseveranza di una rettitudine che non si limita a ciò che è giusto, ma supera il doveroso”. 

La celebrazione della solennità del patrono “assume i lineamenti di un cristianesimo dialogico – ha sottolineato il vescovo -, disponibile a ricercare e individuare risposte condivise alle attese e alle speranze di ogni persona umana. È il senso di questo decennio di feste patronali contrassegnato dalla riflessione su condizioni virtuose per la vita personale e comunitaria”. Moltissimi i fedeli presenti, così come le autorità civili e religiose: è stata l’occasione per riunire tante componenti della comunità.

Hanno concelebrato alcuni vescovi bergamaschi e in particolare monsignor Luigi Bonazzi, nunzio in Albania, che ricordava il 25° anniversario della sua ordinazione episcopale (avvenuta nella Cattedrale di Bergamo il 26 agosto 1999), monsignor Paolo Rudelli, nunzio apostolico in Colombia, monsignor Maurizio Malvestiti, vescovo di Lodi, monsignor Maurizio Gervasoni, vescovo di Vigevano, monsignor Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza, monsignor Ottorino Assolari vescovo emerito di Serrinha in Brasile, monsignor Alessandro Ruffinoni, vescovo emerito di Caxias do Sul in Brasile, monsignor Natale Paganelli, amministratore apostolico emerito di Makemi e monsignor Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi. Accanto a loro numerosi sacerdoti in servizio pastorale in città e nelle diverse articolazioni diocesane: i componenti del consiglio episcopale, vicari territoriali, moderatori delle fraternità, parroci della città, direttori degli uffici di curia, diaconi, seminaristi.

Fra le autorità cittadine, sedute nei primi banchi c’erano la sindaca Elena Carnevali, il prefetto Giuseppe Forlenza, il presidente della Provincia Pasquale Gandolfi, il rettore dell’Università di Bergamo Sergio Cavalieri, i rappresentanti delle autorità militari e di alcune realtà associative.

Le radici della giustizia, ha evidenziato il vescovo, “affondano nel dolore”. Essa consiste quindi “nell’assumere questo dolore, quello che si prova di fronte a una violenza subita, o dall’essere privati da ciò che ci spetta, a cominciare dal riconoscimento di ciò che siamo, il dolore dell’ingiustizia subita da tutti e particolarmente dai più deboli”. L’alimento della virtù “è la rettitudine personale”, fondamentale per tutti, ma in particolare per chi esercita un’autorità. La virtù della giustizia assume pure i tratti “della resistenza mite e forte, alimentata dalla forza della ragione e del diritto, contrastando la minaccia incombente della ragione della forza e del diritto del più forte”. Condizione per cui sia davvero realizzata, ha affermato monsignor Beschi, è “dar voce a chi non ha voce: ai disabili, ai malati, agli anziani soli, ai carcerati, agli immigrati, ai bambini, ai perseguitati per la giustizia e la libertà”.

Nell’ambito di questa riflessione ampia e articolata, ha avuto spazio anche una nota dedicata alla situazione delle carceri: “In queste settimane la condizione delle carceri, delle persone detenute e di coloro che vi lavorano si è riproposta con connotazioni drammatiche. Non si tratta di sminuire la gravità dei delitti, ma di promuovere una risposta alla loro gravità con una visione che non mortifichi la dignità di ogni persona, neanche di coloro che l’hanno deturpata. Se il carcere, che non può essere l’unica risposta, prevede la restrizione della libertà, non può, come frequentemente sta avvenendo, alimentare la restrizione della dignità di ogni persona, sia dei detenuti sia di coloro che vi operano a ogni livello”. 

Il vescovo ha posto infine l’accento su quanto la crescita delle diseguaglianze sociali incida sull’esercizio della giustizia: “È necessario un perseverante, coraggioso esercizio nel ricostruire quotidianamente il tessuto di un sostanziale riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni persona umana, a cominciare dai più deboli”.

Ha concluso con un auspicio adatto a inaugurare una nuova stagione, un nuovo stile, da realizzare attraverso un impegno quotidiano, personale e comunitario: “Se l’ingiustizia assume la vastità dell’oceano alziamo lo sguardo alla stella della virtù della giustizia, che con le altre stelle delle virtù cardinali, la temperanza, la fortezza e la prudenza costituiscono il firmamento di un’umanità che nella prova, nell’incertezza, nel dolore, non rinuncia a percorrere le rotte illuminate da queste stelle”.