Parigi 2024, intervista a Chiara Consonni. “Vivo il presente e coltivo la mia passione”

È passato meno di un mese dalla medaglia d’oro conquistata alle Olimpiadi di Parigi dalla coppia Chiara Consonni-Vittoria Guazzini. Le due azzurre hanno vinto la prova “Madison” del ciclismo su pista ribaltando ogni pronostico e lanciando nell’Olimpo dei campioni le due atlete.

Una gioia molto bergamasca visto che Chiara Consonni è di Brembate Sopra e ha contribuito ad impreziosire il medagliere di Bergamo alle Olimpiadi. Una questione molto di famiglia, dato che anche il fratello di Chiara, Simone, è ciclista professionista ed è tornato da Parigi con due medaglie: bronzo nell’Inseguimento a squadre, argento nell’Americana in coppia con Elia Viviani. Simone aveva già vinto l’oro a Tokyo 2021, mentre per Chiara è una prima volta. «A un mese circa di distanza dalla vittoria – racconta la 25enne – inizio a capire meglio cosa sia successo. È stato un mese frenetico, ricco di impegni, corse, premiazioni ma ora sto metabolizzando. Sto iniziando a capire che sono davvero entrata nella storia».

Come ci si sente con una medaglia d’oro al collo, la massima espressione di un successo sportivo? «Direi che ci si sente strani – risponde Chiara – ma anche realizzati. Di sicuro non mi sento cambiata, non si è modificato nulla nel mio modo di essere o di pormi. Certo, in paese le persone ti riconoscono, ti salutano, ma è un momento limitato al periodo successivo alla vittoria: per il resto io sono sempre la stessa e Vittoria anche». La notorietà tuttavia è schizzata alle stelle, non solo in paese, ma anche su palcoscenici ben più noti e glamour «Siamo state invitate al Gran Premio di Monza – rivela Chiara con un’emozione fanciullesca nella voce – dove siamo state trattate come delle star. Sono appuntamenti molto utili per noi perché ci permettono di far conoscere meglio e poter raccontare la nostra disciplina. Il ciclismo femminile non è così popolare e quello su pista, in una delle specialità più di nicchia, lo è ancor meno. Eppure tanti giornalisti si sono avvicinati a noi spiegandoci che si erano informati per capire meglio la “madison” ed il nostro sport».

Del resto tra i compiti, anche involontari, di atleti di successo c’è quello di lanciare messaggi agli sportivi amatoriali, di diffondere la conoscenza anche e soprattutto degli sport considerati “minori”. Un onere e un onore che le due azzurre son ben contente di portarsi in bicicletta ogni giorno. E dire che la storia d’amore tra Chiara Consonni e la bicicletta è iniziata un po’ per caso. «Ho iniziato a pedalare a 6 anni – ricorda lei – ma solo per seguire quello che faceva mio fratello Simone. Nessuno in famiglia era ciclista, nessuno aveva una grande passione, siamo partiti da zero e questa è stata una nostra fortuna perché nessuno ci ha mai messo addosso alcun tipo di pressione o aspettativa. Pedalavamo per divertirci e io, in particolare, trovavo in questo sport il giusto modo per incanalare tutta l’energia e l’adrenalina che avevo in corpo».

Già, le pressioni, che da piccoli rischiano di arrivare dai genitori che possono essere molto più pressanti dei media, degli allenatori, dell’opinione pubblica. «Mia mamma e mio papà – ammette Chiara – sono stati esemplari e li ringrazierò sempre perché mi sono sempre stati vicino, mi hanno seguita e assecondata soprattutto nei momenti più difficili come quelli dell’adolescenza, dove i loro consigli diventano determinanti quando ci si trova di fronte a delle scelte come quella: esco la sera con gli amici o vado a letto presto? Ai genitori dico: lasciate scegliere ai figli nello sport, non accanitevi, non costringeteli a vincere».

Un divertimento che poi è diventato passione per la bicicletta. È curioso sapere se un ciclista professionista continui ad avere la stessa passione anche dopo tanti anni e mille fatiche. «Io sì – risponde la 25enne – ho ancora grande passione e me ne accorgo soprattutto nei periodi di pausa, quando non vedo l’ora di tornare in sella». Passione, certo. Ma come per tutti gli altri atleti di successo ci sono altre peculiarità che consentono di vincere. Quali quelle nelle quali Chiara Consonni si riconosce? «Sono testarda, vivo il presente e coltivo la mia passione». Il concetto di vivere il presente che ritorna, come una litania, come un obiettivo fisso da non dimenticare mai, pena: il rischiare di cadere. Capisaldi necessari all’interno di una vita frenetica, scandita dagli allenamenti. «Mi alleno con una media di tre ore al giorno – dice lei – con un riposo a settimana quando mi dedico alla strada. Su pista i carichi cambiano un po’, facciamo sedute doppie al mattino e al pomeriggio perché i carichi sono più brevi, ma intensi».

Infine, la riflessione sul concetto di vittoria commentando l’intervista di Benedetta Pilato a Parigi. Una riflessione molto profonda e stuzzicante quella che ci offre Chiara Consonni, forse rivelatrice della verità in risposta al quesito: ma vincere è davvero tutto? «Io credo che Benedetta fosse davvero felice in quel momento – riflette Chiara che ha seguito in diretta la vicenda – e per questo la sua è stata una reazione genuina. Penso che esistano diversi tipi di vittoria. C’è quella che ti regala una medaglia perché arrivi primo, c’è quella rappresentata dal solo fatto di partecipare ad un evento come l’Olimpiade e ci sono molte altre forme di vittoria. Nel ciclismo ad esempio il gregario raramente vince in prima persona, non taglia quasi mai il traguardo per primo, eppure si costruisce delle sue vittorie, come aiutare il capitano a stare nella giusta posizione ai piedi di una salita o come tirare la volata al proprio velocista. Lo vedo in quello che fa mio fratello: la sua gioia nell’aiutare a far vincere altri è autentica e riempie di soddisfazione. Ho provato anche io questa sensazione: quando vince qualcuno della tua squadra è come se avessimo vinto tutti. Insomma, ognuno ha il suo compito, il suo ruolo e ad ognuno spetta la gratificazione giusta per quello che è chiamato a fare».