Oratori chiusi per maleducazione. Un campanello d’allarme

oratori chiusi per maleducazione

È successo di nuovo. Un altro oratorio della bergamasca pubblica un post nel quale si afferma che gli spazi adibiti alla libera aggregazione sono chiusi fino a data da destinarsi e gli allenamenti della società sportiva proseguono a porte chiuse.

Perché? Perché si sono verificati episodi di grave maleducazione che sono talvolta sfociati in vere e proprie aggressioni nei confronti dei volontari e delle persone che quotidianamente si impegnano a garantire una presenza che rende accoglienti e sicuri gli oratori per i ragazzi che li frequentano.

Tra curati ci si confronta e mi sembra siamo tutti d’accordo che il fenomeno è in crescita. È vero, funziona “a ondate”, così che a periodi di relativa calma seguono periodi nei quali la gestione dei comportamenti problematici da parte di alcuni ragazzi si fa più impegnativa; tuttavia, il problema c’è e l’aumento dei casi di chiusure per mancanza di sicurezza dei bambini/ragazzi e del personale volontario lo attesta in modo chiaro.

Quando questo accade, occorre fermarsi e prendere in considerazione questo allarme educativo. Tra chi commenta i post che annunciano la chiusura degli spazi per i suddetti motivi, non mancano i pedagogisti improvvisati del “non si fa così… non è questa la soluzione… così pagano tutti e i ragazzi che non hanno colpa non possono giocare!”.

C’è del vero, certamente, ma se queste persone, così avventate nella critica al provvedimento, provassero alcune cose che diversi preti e volontari hanno provato, ci penserebbero due volte a scrivere. Posso garantire che trovarsi di fronte a chi ti dice “Sai che io ti spacco la faccia? Stai attento” non fa piacere a nessuno; anche se poi, per fortuna, a questo non si arriva (attenzione, però, perché le aggressioni fisiche sono in aumento: ieri sera un anziano, senza alcun motivo e con una falsa accusa, è stato insultato e malmenato da adolescenti in una gremita città alta…) e si cerca sempre il dialogo, senza alzare la voce, provando a spiegare con pazienza, tuttavia mi sento di dare tutta la mia solidarietà ai confratelli che, non a cuor leggero, devono giungere a decisioni come queste.

Un segnale va dato e, soprattutto, la sicurezza e l’incolumità dei volontari e dei ragazzi che frequentano l’oratorio va garantita. Certo, questo funziona nel momento dell’emergenza, poi occorre agire in altro modo, perché gli oratori tornino ad essere luoghi sicuri dove bambini e ragazzi possono giocare, fare catechesi, pregare, aggregarsi serenamente.

Non ci sono soluzioni preconfezionate, ma qualche orientamento mi sembra possa essere offerto. Innanzitutto occorre torni la coesione sociale sul fenomeno. Non può risolvere il “don” dell’oratorio il problema (dove c’è, peraltro: sempre più oratori hanno solo il parroco, che non può garantire la presenza costante presso la struttura), occorre una sinergia tra tutti gli enti deputati alla crescita dei ragazzi e alla sicurezza: penso in particolare alla parrocchia, al comune, alle scuole, alla polizia locale e al comando dei carabinieri di zona, alle società sportive, agli enti culturali e aggregativi. Occorre uno sguardo allargato per analizzare il fenomeno e trovare soluzioni, quantomeno per arginarlo.

Poi, occorre un lavoro preventivo serio, che va fatto in famiglia e a scuola: agire su un sedicenne in devianza, che fa risse, aggredisce e insulta, non è semplice… ed è tardi! Occorre vigilare sull’educazione fin da bambini.

Sarà una mia impressione, ma ho la percezione che la scomparsa dell’asimmetria educativa, costitutiva del processo educativo stesso, sia un serio problema. I ruoli devono essere chiari, ad esempio a scuola: l’insegnante è l’insegnante, il genitore il genitore, l’alunno è l’alunno. Può sembrare banale, ma la maleducazione inizia quando alla scuola secondaria i ragazzi di prima media non sono più capaci di dare del “lei” al docente, quando nemmeno smettono di chiacchierare tra loro quando la professoressa entra in classe, quando occorrono dieci minuti di richiami perché seggano e prestino attenzione.

Quando alcuni passaggi non si imparano da bambini, come il rispetto degli altri, il rischio è che il processo educativo risulti compromesso. Mi permetto di aggiungere un passaggio, che può essere giustamente criticato, ma sul quale occorre riflettere e confrontarsi. L’eccesso di buonismo deve finire. Io non metto in dubbio che il disagio giovanile e adolescenziale esista, come sono pienamente consapevole che diversi ragazzi non crescono in una famiglia in grado di educarli o alla quale interessi farlo. Sono cose che sappiamo. Tuttavia, non è pensabile continuare a giustificare tutto con la parola magica “disagio” e non è ammissibile che chi compie reati (anche l’aggressione verbale lo è, non solo gesti come lo spintonamento del volontario, lo sputo alla volontaria ecc., oggi purtroppo non rari!) resti sempre senza conseguenze.

Diventare adulti è crescere nella consapevolezza che si è responsabili di ciò che si fa e che, se si fa il male, si risponde del male fatto, in prima persona (o, se giovanissimi, ne risponde chi esercita la potestà genitoriale). La situazione suggerisce di prendere in considerazione queste questioni, prima possibile. L’emergenza educativa c’è ed è impossibile non vederla.