Il debito costa: tra promesse mancate, riforme necessarie e lo spettro del declino sociale

riduzione debito pubblico e declino sociale

Dura da anni l’estate delle cicale nel nostro Paese. Il tempo della finanza allegra. Il tempo del debito pubblico.

È bastato che in questo placido stagno il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti gettasse un sasso chiamato “sacrificio”, perché l’intero mondo politico e sociale trasformasse i cerchi nell’acqua in ondate di maremoto.

Maremoto in uno stagno, si intende! Lo stagno è il Paese, con una crescita attorno all’1%. Non basta affatto per lo sviluppo, rallenta solo il declino.

Per di più, l’U. E. ci ha dato il PNRR, ma sta ponendo condizioni di politiche del rientro dal debito, alle quali non possiamo sottrarci.

La pressione del debito pubblico sul sistema produttivo e sul sistema del Welfare è diventata insopportabile: un debito alimentato per ridurre le punte delle diseguaglianze le sta moltiplicando e acuendo, danneggiando soprattutto i giovani e le donne. Sta sbarrando le porte del futuro del Paese.

I partiti di governo, che avevano fatto intravedere soli e lune dell’avvenire, messi di fronte ai “sacrifici”, sono entrati in fibrillazione. Esponenti della maggioranza di governo hanno già trovato il Cireneo: le banche. Nelle quali risiedono i nostri risparmi.

Sui quali gli azionisti non tarderanno a rivalersi. Altri additano le multinazionali, tipo Amazon e affini. Su questa linea convergono anche le forze dell’opposizione di sinistra e dell’opposizione assistenziale del M5S.

La descrizione del sistema economico come dominato da demo-plutocrati, pescecani e padroni delle ferriere appartiene a molta letteratura di sinistra e a quella della destra populista. É, semmai, infestato da evasori fiscali. 

La verità che vedono tanto il colto quanto l’inclita guarnigione è questa: il Paese è in sotto-sviluppo da qualche decennio, la metà dei contribuenti non paga le tasse, pre-pensionamenti, lunghe casse di integrazione e lavoro nero convivono felicemente. 

Secondo i dati ISTAT del 2021 l’economia sommersa arriva a circa 174 miliardi di euro, mentre le attività illegali superano i 18 miliardi. Al 31 marzo 2024, il Superbonus 110% ha avuto un costo per le casse dello Stato pari a 128 miliardi e 968 milioni di euro. 

Queste verità emergono sui giornali, passano nelle conversazioni televisive, se ne discute nei bar e sui tram, ma non diventano verità della Repubblica, non sono assunte collettivamente dal Parlamento e dai partiti. Ne emergono occasionalmente dei frammenti, che sono usati come clave contro l’avversario del momento e, unanimemente, contro i governi precedenti. 

Se la sinistra ha praticato il keynesismo all’italiana, spendaccione e disordinato, ci si attendeva che la destra non si riducesse solo a “Dio, Patria e Famiglia”, ma si candidasse a mettere in ordine i conti del Paese.

È invece accaduto che Destra e Sinistra si siano alleate contro Mario Draghi, in nome del “ritorno alla politica”. Che, ora, è fin troppo chiaro in che cosa consistesse: nel continuare a fare debito pubblico. 

Rappresentanti e rappresentati, società civile e politica sono ormai prigionieri dello stesso circolo vizioso: avendo i partiti raccolto voti per decenni in forza del sempre crescente debito assistenziale, oggi sono prigionieri delle proprie promesse e delle attese suscitate.

Con una differenza tra destra di governo, sinistra di opposizione e populisti-assistenzialisti. La destra di governo mantiene, attraverso il Ministro Giorgetti, una percezione realistica della condizione finanziaria del Paese.

Può incolpare, a buon diritto, i passati governi e i partiti che li hanno sostenuti, compreso il proprio, ma oggi tocca a lui governare. Schlein e Conte, al contrario, si trovano nella “felice” condizione dell’irresponsabilità, nella quale perseverano per l’infelicità del Paese.

Destra e sinistra sono accomunati in una pedagogia del declino. Nessuna meraviglia, se la recente indagine IPSOS-Il Mulino documenta che l’astensionismo erode sempre di più l’elettorato di sinistra.

È evidente che la sinistra non ha nessuna voglia di governare il Paese. Difficile, in questa condizione politico-culturale, “transformer l’éspoir en histoire”.

Come già accadde nel fatale 1992, il Governo, al fine di fare cassa, intende ricorrere, oltre che ai soliti condoni, alle privatizzazioni parziali di Eni, FS, Poste, Leonardo…vendendo quote statali di partecipazione e immobili, pur continuando a mantenere il controllo dello Stato.

L’importante è l’uovo oggi, per continuare ad andare ogni sera in TV a vantarsi di avere speso qualche miliardo preso “dalle tasche degli Italiani” per la loro incerta felicità presente e per la loro certa infelicità futura. Con una differenza sostanziale rispetto agli anni ’90: se anche allora il movente immediato fu la riduzione del debito pubblico, alle spalle stava tuttavia un’idea della collocazione dell’Italia in Europa.

Allora si tentò di destatalizzare l’economia “sovietica” delle Partecipazioni statali, aspirando noi ad entrare in un mercato unico europeo fondato sulla concorrenza, sull’economia sociale di mercato, sulla partecipazione positiva dei privati alla crescita del Paese.

Furono Andreatta, Amato, Ciampi, Prodi e il D’Alema della rivoluzione liberale (sic!) che si assunsero “il compito di liberare società ed economia e di non creare diseguaglianze”, come annunciò con qualche enfasi nel 1999 Giuliano Amato, Ministro del Tesoro nel Governo D’Alema. Arrivarono un po’ di soldi.

Tuttavia, il debito tornò ad innalzarsi ben presto. E quando, nel Novembre del 2011, si costituisce il Governo Monti per bloccare la deriva verso il default, insorge il M5S che, mentre proclama una volontà di cambiamento rivoluzionario delle istituzioni della politica e delle politiche, in realtà vuole tornare alla vecchia politica assistenziale democristiana e consociativa degli anni ’80.

E lo farà, prima con il Conte giallo-Lega, con il Decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 che istituisce il Reddito di cittadinanza, e poi con il Conte giallo-PD: il Superbonus 110% è del 19 maggio 2020. Che è stato prorogato da Draghi stesso, nonostante le sue stesse critiche, per pressione plebiscitaria di destra e sinistra, fino al 31 dicembre 2025.

 Eppure, l’impresa della riduzione del debito non appare impossibile, come segnala l’Osservatorio dei Conti Pubblici di Carlo Cottarelli, analizzando il caso di undici Paesi europei su venti e, in particolare, del Portogallo.

La ricetta è sempre la stessa: riforme strutturali – quelle già richieste e promesse per ottenere i soldi del PNRR – e riduzione delle spese. Tocca, in primo luogo, ai cittadini volerle. Ma forse, dopo anni di irrealtà, ai cittadini non basta lo shock della verità. Hanno bisogno dello shock del declassamento sociale, della povertà, della fuga dei giovani. Sta arrivando.