L’insegnamento della religione, un sapere necessario per crescere da cittadini

L’insegnamento della religione, un sapere necessario per crescere da cittadini

Secolarizzazione, de-cristianizzazione, radici cristiane d’Europa sono capitoli piuttosto controversi della discussione in corso in questi anni sul destino delle società europee. Controversi, perché qualcuno nega che l’Europa abbia radici cristiane e, conseguentemente, non trova così allarmante la de-cristianizzazione in atto.

Giorgia Meloni, per parte sua, ha proposto la difesa delle “radici cristiane d’Europa” come punto qualificante del suo programma politico-elettorale e di governo.

Salvini va in giro con la capanna del presepe sotto braccio. È noto: dall’Illuminismo a Hegel, a Giovanni Gentile la religione è sempre stata pensata come una filosofia buona “per tener buono” il popolo e quale ottimo collante per lo Stato-nazione.

Che il Cristianesimo sia “la” radice o solo “una” delle radici o solo un ramo dell’albero-Europa, la de-cristianizzazione ci riguarda per molte fondamentali ragioni etico-sociali. Donde l’importanza dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, in sigla IRC.

Il fatto è che ormai da qualche decennio stanno succedendosi generazioni di ragazzi totalmente ignari della storia del Cristianesimo, cioè della nostra civiltà. 

Non è compito dell’IRC generare e/o trasmettere la fede cristiana. Lo sguardo di fede, di qualsiasi fede, si apre solo dentro un ambiente storico determinato e dall’interno di una testimonianza di vita vissuta, che solo una comunità di credenti può pre-costituire.

Ha certamente bisogno di un supporto cognitivo, di una base dottrinale-catechetica. Ma l’IRC non svolge e non può svolgere nessuna funzione catechetica. Non ha perciò neppure lo scopo di fermare il processo di de-cristianizzazione. E allora?

Dovrebbe contribuire, come ogni altro insegnamento, ad introdurre il ragazzo alla comprensione dell’Umano, della realtà, della storia e, dunque, del Sé.

L’esperienza religiosa ha fatto parte della storia di migliaia di anni dell’homo sapiens. “Domanda religiosa”, “senso religioso”, “presenza del Sacro” sono i nomi diversi della stessa costante antropologica: l’esperienza di una dipendenza, di una finitudine, di un’incompletezza, di un trascendimento dell’orizzonte presente, di una domanda sul proprio destino.

L’ homo è un animale tanto sapiens quanto religiosus. Il “fenomeno umano” è un “fenomeno religioso”. Almeno fino a questo stadio dell’evoluzione della specie. Precisazione d’obbligo, giacché oggi le nuove teorie trans/post-umaniste prevedono il passaggio ad una fase della storia in cui la domanda religiosa si estinguerà naturalmente. Verrà il tempo dell’ ”Homo Deus”. Insomma: noi saremmo Dio.  Forse…

Alla domanda religiosa hanno risposto le fedi storiche, che hanno impastato la storia umana, ne hanno segnato le civilizzazioni, la morale privata e l’etica pubblica, le letterature, le filosofie, le costruzioni, le città, le arti, i costumi.

Le religioni si sono mischiate con la società, con il potere, con gli Stati, con le paci e con le guerre. E quella cattolica è consustanziale rispetto alla storia d’Italia. L’IRC dovrebbe trasmettere il “sapere religioso” per fornire ai ragazzi tutti i materiali per la costruzione della propria identità, portarli alla “fioritura umana”, tra cui l’apertura alla possibilità di scegliere o rifiutare un cammino di fede.

Ora, in Italia e in Europa “il sapere religioso” è, in primo luogo, “sapere del Cristianesimo”: quindi Antico e Nuovo Testamento, storia del Cristianesimo e delle Chiese cristiane. Non è l’unico, ormai, come noto. 

L’IRC fornisce questo “sapere”? Decisamente no. Già una ricerca condotta circa quindici anni fa dal Centro di Ateneo per la Qualità dell’Insegnamento e dell’Apprendimento dell’Università degli Studi di Bergamo, diretto dal Prof. Giuseppe Bertagna, pubblicata dalle Edizioni Studium con il titolo “Sapere la religione cattolica”, a cura di Fabio Togni, con introduzione di Giuseppe Bertagna e postfazioni di James Organisti e di Elio Damiano, documentava come gli studenti che avevano acquisito una buona conoscenza della religione cattolica oscillassero solo in un range  tra il 20% e il 40%. Questo era dato di desumere dalle risposte alle domande sul nucleo biblico, su quello teologico-dogmatico, su quello cristologico e su quello ecclesiologico del Cristianesimo.

In particolare, la conoscenza della Bibbia appariva decisamente scarsa. Non c’è nessuna ragione di pensare che nel 2024 la situazione sia migliorata.

L’IRC settimanale è diventato un puzzle disordinato, le cui tessere tematiche sono le più varie: il senso della vita, la società narrativa, l’amore e il sesso, l’aborto e il fine-vita, il futuro dell’istituzione familiare, la disabilità, la prostituzione, il gender e il transgender, le altre religioni quali l’Islam e il Buddismo…

È la Chiesa come “ospedale da campo”. Basta? Il fatto è che l’IRC ha perduto ogni consistenza epistemologica: non è catechesi, in forza della quale “la storia di Gesù non è il mezzo della rivelazione, è la rivelazione”, ma non è neppure una disciplina, che proponga contenuti storico-culturali specifici.

Né “fides quaerens intellectum” – la fede che cerca un fondamento di ragione – né “intellectus quaerens fidem” – né la ragione che cerca la fede. 

È un’ora settimanale di “debate”, come si pratica ora, condotto con documenti, articoli, video e conversazioni. Una sorta di educazione civica e di discorso morale. Averne, si intende! Che, peraltro, dovrebbero praticare tutti i docenti di tutte le materie, senza che ci sia bisogno di istituire un’oasi pia.

Quanto agli insegnanti di religione, ciascuno gestisce l’ora settimanale a modo suo, nei limiti della propria preparazione: alcuni sono preparati, altri assai meno, per altri l’IRC è solo una scorciatoia per entrare nel ruolo statale ed insegnare tutt’altro.

Se “il sapere religioso” è un tassello fondamentale della costruzione educativa, l’IRC attuale non lo fornisce. Non stupisce il silenzio della politica, abbassatasi ad infimi livelli civili e culturali.

Meraviglia di più il silenzio della Chiesa italiana, nella misura in cui si ponga come “Maestra di umanità”, come grande agenzia educativa dell’uomo e del cittadino. Farlo diventare, eventualmente, cristiano, è la sua missione. Ma senza “il sapere religioso” difficile che diventi cittadino, improbabile che diventi cristiano. 

Due cose sono certe: l’ignoranza religiosa degli Italiani è abissale; l’ignoranza religiosa non è mai “santa”, né quando svaluta la cultura laica a vantaggio della fede, né quando svaluta la teologia a favore dell’esperienza e del vissuto di fede.

Da questo punto di vista, la chiusura delle Facoltà di Teologia di tutte le Università del Regno, decisa con Regio Decreto n. 1251 del 26 gennaio 1873, Ministro Antonio Scialoja, è stata una pessima idea sia per lo Stato laico sia per la Chiesa. La Chiesa si è garantita il controllo di un discorso teologico sempre più povero, la cultura laica si è inaridita.